Di Chiara Di Lucente

La pandemia di Covid-19 ci ricorda che per preservare la salute umana è necessario prendersi cura anche di quella ambientale: tutto ciò risponde all’approccio della cosiddetta One health

Una delle lezioni più grandi che la pandemia di Covid-19 ci ha insegnato è che non ci si può prendere cura della salute umana senza considerare anche la salute animale e quella dell’intero ecosistema. Le zoonosi, malattie infettive che hanno origine negli animali e che poi compiono il salto di specie negli esseri umani, sono sempre esistite, ma negli ultimi decenni l’impatto di esse sulla salute (e non solo) è diventato molto più significativo. Non solo: numerosi studi hanno dimostrato che nel prossimo futuro, complici alcuni fenomeni tra cui l’aumento della popolazione globale, la sua espansione in nuove aree geografiche e la globalizzazione, avremo sempre più a che fare con questi problemi. Ecco perché in questi anni si promuove l’approccio alla medicina in termini di “One health”, che in italiano vuol dire “una salute”, ovvero l’idea che una maggiore interdisciplinarità tra i settori della ricerca sulla salute umana e animale, la pratica clinica e la politica sia essenziale per affrontare problemi contemporanei come le zoonosi, diversi tipi di tumori, la sicurezza alimentare e lo sviluppo di nuovi farmaci. Una sola salute, insomma, per il benessere dell’intero pianeta.

Facciamo un passo indietro: il termine One health è stato utilizzato per la prima volta nel 2003-2004, in seguito all’emergere della Sars (malattia respiratoria grave causata da Sars-cov-1, coronavirus correlato geneticamente a quello responsabile di Covid-19) e alla diffusione, nello stesso periodo, del virus dell’influenza H5N1, la cosiddetta influenza aviaria, che avevano avuto un notevole impatto sulla salute pubblica globale. Proprio per questo, nel settembre 2004, esperti di salute di tutto il mondo si sono incontrati per un simposio organizzato dalla Wildlife conservation society, fondazione statunitense a tutela degli animali selvatici, che ha analizzato la relazione tra le malattie e gli esseri umani, la fauna selvatica, gli animali domestici e in generale gli ecosistemi. In particolare, sono stati elaborati una serie di obiettivi strategici noti come i “Principi di Manhattan” in cui gli esperti hanno chiaramente riconosciuto il legame tra la salute umana e quella degli animali e la minaccia che le malattie rappresentano per l’approvvigionamento alimentare e le economie globali. Questi principi sono stati un passo fondamentale nel riconoscere l’importanza di approcci collaborativi e interdisciplinari per rispondere alle nuove malattie e a quelle recrudescenti e soprattutto l’importanza dell’inclusione della salute della fauna selvatica come componente essenziale della prevenzione, sorveglianza, controllo e mitigazione delle malattie.

Le ragioni dietro l’approccio One health

In realtà, il concetto di One Health non è una novità: fin dal Diciottesimo secolo, infatti, medici e ricercatori avevano osservato l’esistenza di relazioni tra le malattie negli animali e negli esseri umani; per esempio, Rudolf Virchow, considerato il pioniere della medicina moderna, alla fine del 1800 ha riconosciuto il legame tra salute umana e animale, coniando il termine zoonosi. Tuttavia, negli ultimi decenni il rapporto tra ecosistemi e salute umana è cambiato ulteriormente, assumendo sempre più importanza, perché nel frattempo si sono modificate le interazioni tra persone, animali, piante e l’ambiente. In sostanza, è diventato sempre più chiaro che la maggior parte delle nuove malattie infettive emergenti ha origine negli animali, in particolare nella fauna selvatica e che le principali cause della loro comparsa sono associate alle attività umane.

In particolare, le popolazioni umane crescono e si espandono in nuove aree geografiche: ciò vuol dire che sempre più persone vivono a stretto contatto con animali selvatici e i loro ambienti, con maggiori opportunità di trasmissione di malattie tra animali e persone. Inoltre, i cambiamenti climatici e un utilizzo del suolo improprio (a causa, per esempio, della deforestazione e di pratiche agricole intensive) hanno modificato habitat e condizioni ambientali di animali selvatici, esponendo ancora di più gli esseri umani al rischio di contrarre malattie da essi. Infine, il massiccio movimento di persone, animali e prodotti animali dovuto alla globalizzazione, ai viaggi e al commercio internazionale è aumentato a sproposito, rendendo più semplice la diffusione di nuove malattie a livello globale, proprio come è successo per Covid-19.

I problemi e le soluzioni

Tra i problemi sanitari e socio-sanitari che dovrebbero essere affrontati con un approccio One health non vi sono solo le zoonosi, ma anche le malattie tropicali trascurate (malattie infettive croniche diffuse soprattutto in aree rurali e in aree urbane povere di paesi a basso e medio reddito, come il morbo di Chagas e la febbre Dengue), le malattie trasmesse da vettori come la malaria, in aumento con le temperature sempre più calde del nostro pianeta, l’antibiotico-resistenza (l’insorgenza di microrganismi in grado di resistere agli antibiotici e che causano infezioni, negli esseri umani e negli animali, difficili da trattare) la sicurezza alimentare, la contaminazione ambientale di acqua e suolo, i cambiamenti climatici e altre minacce sanitarie condivise da persone, animali e ambiente. Non solo, come riportano i Centers for disease control and prevention (CDC) statunitensi, possono trarre un vantaggio da un approccio One health anche le malattie croniche, quelle legate alla salute mentale, e le malattie non trasmissibile.

Ma come si adotta un approccio One health? Per le istituzioni sanitarie vuol dire coordinare interventi che coinvolgano esperti in salute umana (ricercatori, medici, infermieri, operatori della sanità pubblica, epidemiologi), animale (veterinari, paraprofessionisti, lavoratori agricoli), ambientale (ecologi, esperti di fauna selvatica) e altre discipline pertinenti nel monitoraggio e nel controllo delle minacce alla salute pubblica. Da questo approccio, in realtà, nessuno è escluso: altri attori rilevanti potrebbero essere le forze dell’ordine, i responsabili politici, i cittadini e persino i proprietari di animali domestici. “Nessuna persona, organizzazione o settore può affrontare da solo i problemi relativi agli esseri umani, agli animali e all’ambiente”, concludono i CDC.

Fonti:
  • https://www.cdc.gov/onehealth/basics/index.html
  • https://www.iss.it/one-health
  • Cassidy A. One Medicine? Advocating (Inter)disciplinarity at the Interfaces of Animal Health, Human Health, and the Environment. In: Frickel S, Albert M, Prainsack B, editors. Investigating Interdisciplinary Collaboration: Theory and Practice across Disciplines. New Brunswick (NJ): Rutgers University Press; 2016. Chapter 10. PMID: 27854405.
  • Mackenzie JS, Jeggo M. The One Health Approach-Why Is It So Important? Trop Med Infect Dis. 2019 May 31;4(2):88. doi: 10.3390/tropicalmed4020088. PMID: 31159338; PMCID: PMC6630404.