Di Chiara Di Lucente
malattia parkinson

È la malattia neurodegenerativa più diffusa dopo la malattia di Alzheimer: come si manifesta, come si fa diagnosi e come si cura

La malattia di Parkinson è un disturbo neurodegenerativo che insorge prevalentemente in età avanzata e si manifesta con un rallentamento generalizzato dei movimenti e almeno un altro sintomo di tremore a riposo o rigidità muscolare. Come vedremo, altre caratteristiche associate a questa malattia sono disfunzioni del sonno, disturbi dell’umore, salivazione eccessiva, stitichezza ed eccessivi movimenti degli arti durante il sonno. Con il progredire della malattia, i sintomi tendono a peggiorare, ma l’introduzione di farmaci innovativi e terapie non farmacologiche ha significativamente migliorato la qualità della vita dei pazienti che ne sono colpiti. In effetti, sebbene non esista ancora una cura definitiva per il Parkinson, i trattamenti disponibili consentono di gestire i sintomi e rallentare la progressione della malattia, offrendo notevoli benefici per pazienti e caregiver. Descritta per la prima volta dal medico britannico James Parkinson nel 1817, nello studio An Assay on the Shaking Palsy, dopo la malattia di Alzheimer quello di Parkinson è il disturbo neurodegenerativo più diffuso a livello globale, e si prevede che tali numeri continueranno a crescere in futuro. Si stima che, a livello globale, la malattia di Parkinson colpisca da 1 a 2 persone ogni 1000; la prevalenza aumenta con l’età fino a interessare l’1% della popolazione sopra i 60 anni. Come vedremo, infatti, l’età avanzata rappresenta uno dei principali fattori di rischio per il Parkinson: la malattia si manifesta prevalentemente in persone di età superiore ai 65 anni, mentre in un numero ridotto di casi – circa il 5% – insorge in persone di età inferiore ai 50 anni. Questo disturbo è lievemente più frequente nei maschi che nelle femmine: su 10 persone affette dalla malattia di Parkinson, 6 sono uomini. E in Italia? Come riporta l’Istituto Superiore di Sanità, secondo le stime ufficiali delle linee guida nazionali per la diagnosi e la cura della malattia di Parkinson pubblicate nel 2013, gli italiani affetti dalla malattia di Parkinson erano circa 230.000, cifra destinata a crescere vertiginosamente negli anni a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. Ecco perché è fondamentale parlarne.

Quali sono le cause e i sintomi della malattia di Parkinson

I segni e sintomi più evidenti della malattia di Parkinson si verificano quando vengono progressivamente persi alcuni tipi di cellule nervose presenti all’interno di una zona profonda del cervello. Normalmente, infatti, questi neuroni producono la dopamina, un messaggero chimico (o neurotrasmettitore) molto importante per il corretto funzionamento del sistema nervoso, che, in questa specifica area cerebrale (chiamata substantia nigra) è responsabile del controllo dei movimenti. Nella malattia di Parkinson, i neuroni della substantia nigra si deteriorano e muoiono: quello che avviene, quindi, è una diminuzione dei normali livelli di dopamina nei circuiti cerebrali responsabili del controllo del movimento, causando i problemi motori associati a questo disturbo. Le persone affette dal morbo di Parkinson vanno anche incontro alla perdita delle terminazioni nervose che producono noradrenalina, il principale messaggero chimico del sistema nervoso simpatico, che controlla molte funzioni del corpo, come la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna. La perdita di noradrenalina potrebbe aiutare a spiegare alcuni sintomi non strettamente legati al movimento, come affaticamento, pressione sanguigna irregolare, ridotto movimento del cibo attraverso il tratto digerente. Inoltre, molti neuroni di chi è colpito dalla malattia di Parkinson contengono i cosiddetti corpi di Lewy, aggregati anomali di una proteina cellulare chiamata alfa-sinucleina che, per motivi ancora da chiarire approfonditamente, si accumula all’interno delle cellule nervose, causando tossicità. Il disturbo ha un esordio lento ma è progressivo e, nelle fasi più avanzate del Parkinson, la malattia si estende ad altre aree del cervello, come le strutture basali del proencefalo, l’amigdala e il lobo temporale mediale, fino a coinvolgere anche le aree corticali superficiali. 

Chi fa ricerca in questo ambito non ha ancora identificato con precisione le cause univoche della morte dei neuroni che producono dopamina, né della maggior parte dei casi di Parkinson. Circa il 10% dei casi ha un’origine genetica, spesso osservata in persone giovani, ma, sebbene alcuni casi siano ereditari o associati a specifiche varianti di alcuni geni, la maggior parte delle situazioni in cui insorge il Parkinson non sembra avere una componente ereditaria precisa o univoca. Gli esperti, infatti, ritengono che questa malattia abbia un’origine multifattoriale e sia il risultato di una complessa combinazione di fattori genetici e ambientale. Tra i possibili fattori scatenanti vi è la predisposizione ereditaria, l’età, il sesso, la presenza di traumi cerebrali, infezioni, alterazioni ambientali e anomalie genetiche. In particolare, alcuni fattori ambientali e occupazionali possono aumentare il rischio di insorgenza della malattia, come l’esposizione a pesticidi, metalli, prodotti chimici industriali, lo stile di vita, il luogo di residenza e l’attività professionale. Anche le abitudini alimentari possono avere un ruolo: cibi ricchi di grassi animali, saturi o insaturi, e di vitamina D incidono sullo sviluppo della malattia, mentre cibi come noci, legumi, patate e caffè sembrerebbero svolgere un ruolo protettivo. Alcuni studi suggeriscono come potenziali concause per lo sviluppo della malattia di Parkinson alcune patologie infettive, come certe forme di encefalite. In altri studi la malattia è stata associata a lesioni cerebrali, in particolare traumi accompagnati da emorragia; tuttavia non è ancora definitivamente accertato che un trauma cerebrale possa essere considerato una causa effettiva di Parkinson.

I sintomi del Parkinson e la loro velocità di progressione variano da individuo a individuo. I primi sintomi di questa malattia sono impercettibili e si manifestano gradualmente: per esempio, le persone possono avvertire lievi tremori o possono avere difficoltà ad alzarsi da una sedia. Amici o familiari possono essere i primi a notare cambiamenti in una persona con Parkinson precoce. Quando la malattia progredisce, chi è affetto dal morbo di Parkinson spesso sviluppa un’andatura tipica (detta appunto parkinsoniana), in cui si tende a piegarsi in avanti, a fare piccoli passi rapidi e a ridurre l’oscillazione delle braccia. Si possono verificare anche difficoltà a iniziare o continuare un movimento. In particolare, il Parkinson presenta quattro sintomi principali:

  • Tremore alle mani, alle braccia, alle gambe, alla mascella o alla testa
  • Rigidità muscolare
  • Lentezza dei movimenti (detta anche bradicinesia)
  • Compromissione dell’equilibrio e della coordinazione, che a volte porta a cadute

Come sottolinea l’Istituto Superiore di Sanità, oltre a quelli legati al movimento, le persone affette dalla malattia di Parkinson possono manifestare una vasta gamma di sintomi non motori, che includono sia disturbi fisici sia alterazioni mentali. Per esempio:

  • Perdita dell’olfatto: riduzione o totale assenza della capacità di percepire odori (iposmia o anosmia), spesso presente anni prima di altri sintomi.
  • Dolore neuropatico: sensazioni spiacevoli come bruciori, intorpidimento o freddo agli arti.
  • Disturbi urinari: aumento della necessità di urinare durante la notte o incontinenza.
  • Stitichezza: difficoltà cronica nell’evacuazione.
  • Disfunzioni sessuali: negli uomini, difficoltà nell’erezione; nelle donne, riduzione del desiderio e incapacità di raggiungere l’orgasmo.
  • Vertigini e calo pressorio: senso di svenimento o vista offuscata nel passaggio da seduti o sdraiati a in piedi, dovuti a un improvviso abbassamento della pressione sanguigna.
  • Sudorazione eccessiva: aumento anomalo della sudorazione (iperidrosi).
  • Difficoltà di deglutizione: problemi a ingoiare (disfagia), che possono causare malnutrizione e disidratazione.
  • Eccessiva salivazione.
  • Disturbi del sonno: insonnia o, al contrario, eccessiva sonnolenza
  • Depressione e ansia
  • Allucinazioni e deliri: vedere cose inesistenti o sviluppare credenze irrazionali.
  • Disturbi comportamentali: alterazioni nel comportamento quotidiano.
  • Rallentamento cognitivo: problemi di memoria, difficoltà nella pianificazione e organizzazione.
  • Demenza: declino progressivo delle funzioni mentali, con perdita di memoria, disturbi del linguaggio, difficoltà di orientamento e incapacità di svolgere attività quotidiane.

Come si fa diagnosi della malattia di Parkinson e come si cura

Non esistono specifici esami di laboratorio o strumentali che permettano di diagnosticare con certezza la malattia di Parkinson. La diagnosi si basa essenzialmente sui sintomi, la storia clinica del paziente e un accurato esame obiettivo. Per sostenere la diagnosi viene impiegato il test farmacologico con una sostanza farmacologica chiamata levodopa, che è in grado di sopperire, almeno parzialmente, agli scarsi livelli di dopamina presenti nel sistema nervoso di una persona con Parkinson: il miglioramento dei sintomi con la levodopa indica con un’elevata probabilità la presenza della malattia di Parkinson. Per distinguere la malattia di Parkinson da altre condizioni con sintomi simili, potrebbe essere necessario effettuare una tomoscintigrafia cerebrale a emissione di fotoni singoli (SPECT). La risonanza magnetica cerebrale è invece l’esame neuroradiologico di riferimento, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, e serve principalmente per escludere la presenza di altre patologie. Inoltre, è importante sottolineare che ricevere una diagnosi di Parkinson può rappresentare un forte stress emotivo e psicologico: per questo motivo, è fondamentale il sostegno dei familiari e del personale sanitario, che possono offrire trattamenti adeguati e consigli utili per affrontare e gestire la malattia.

Venendo ai trattamenti, attualmente non esiste una cura definitiva per la malattia di Parkinson, ma sono disponibili diversi trattamenti per controllarne i sintomi. I diversi tipi di trattamenti disponibili includono:

  • terapia farmacologica
  • intervento chirurgico (indicato solo in casi selezionati)
  • terapie di supporto (fisioterapia, terapia occupazionale)

Poiché ogni paziente presenta una combinazione unica di sintomi, la terapia farmacologica viene personalizzata in base alle esigenze individuali. L’obiettivo principale del trattamento è ristabilire i livelli di dopamina e ripristinare le normali funzioni dei circuiti cerebrali. A loro volta, i farmaci per il morbo di Parkinson rientrano in tre categorie:

  • Farmaci che aumentano il livello di dopamina nel cervello. I farmaci più comuni sono i precursori della dopamina, sostanze come la levodopa che attraversano la barriera ematoencefalica e vengono poi trasformate in dopamina. Altri farmaci imitano la dopamina o ne prevengono o rallentano la degradazione.
  • Farmaci che agiscono su altri neurotrasmettitori nel corpo per alleviare alcuni sintomi della malattia. Ad esempio, i farmaci anticolinergici interferiscono con la produzione o l’assorbimento del neurotrasmettitore acetilcolina e possono essere efficaci nel ridurre i tremori.
  • Farmaci che aiutano a controllare i sintomi non motori della malattia: per esempio, alle persone con depressione correlata al Parkinson possono essere prescritti farmaci antidepressivi.

L’intervento chirurgico può essere preso in considerazione per le persone affette da Parkinson quando la terapia farmacologica non è più sufficiente a gestire i sintomi. Tecniche come la pallidotomia (rimozione selettiva del globo pallido) e la talamotomia (rimozione di una parte del talamo) migliorerebbero sintomi come tremore, rigidità e bradicinesia. Tuttavia, queste procedure sono state in gran parte sostituite da metodi chirurgici meno invasivi, come la stimolazione cerebrale profonda e l’uso di ultrasuoni focalizzati. In particolare, nella stimolazione cerebrale profonda, un elettrodo impiantato nel cervello collegato a un generatore di impulsi, invia segnali che bloccano i sintomi motori del Parkinson. Pur non fermando la progressione della malattia, questa opzione terapeutica è efficace per chi risponde alla levodopa ma presenta discinesie o altri sintomi resistenti ai farmaci. Infine, le terapie di supporto aiutano a convivere con la malattia di Parkinson e a controllarne i sintomi. In particolare le terapie fisiche (fisioterapia), occupazionali e la logopedia aiutano a gestire tremori, rigidità, difficoltà motorie e problemi della voce, del linguaggio e della deglutizione, mentre alcuni sintomi causati dalla malattia possono essere controllati attraverso semplici modifiche delle abitudini alimentari. Per esempio, incrementare l’apporto di fibre e assicurarsi di introdurre liquidi a sufficienza può aiutare a ridurre la stitichezza, oppure mangiare più volte al giorno con pasti piccoli e frequenti e aumentare il consumo di sale può evitare le vertigini e l’abbassamento della pressione arteriosa nei cambiamenti posturali. Un approccio terapeutico efficace, comunque, richiede il coinvolgimento di un team multidisciplinare, composto da neurologi, infermieri specializzati, fisioterapisti e logopedisti. Infine, la ricerca scientifica attuale è focalizzata sull’individuazione delle cause del Parkinson, sulla prevenzione, sul miglioramento delle cure esistenti e sullo sviluppo di tecniche innovative, come il neurotrapianto di sostanza grigia fetale.

Fonti: