Di Chiara Di Lucente
In occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere, abbiamo chiesto a Luigi Zappacosta, infermiere, Dirigente delle Professioni Sanitarie del Gruppo Synergo, come sia cambiato il ruolo dell’infermiere nel corso degli anni e della sua cruciale importanza all’interno del team sanitario

Il 12 maggio di ogni anno si celebra la Giornata Internazionale dell’Infermiere, ricorrenza che riconosce il ruolo cruciale svolto da questa categoria professionale, contribuendo, in maniera integrata con il resto del personale medico e sanitario, a offrire cure di alta qualità, sicure e incentrate sul paziente. Quest’anno, il tema scelto dall’International Council of Nurses (ICN) per la Giornata è “I nostri infermieri. Il nostro futuro. Il potere economico della cura“. Con una federazione di oltre 130 associazioni infermieristiche nazionali, l’ICN rappresenta più di 28 milioni di infermieri in tutto il mondo. Un numero che però, specie nel nostro paese, è ancora troppo basso per garantire a tutti i cittadini cure adeguate. In effetti, come emerge dal rapporto Health at a Glance del 2018, in Italia ci sono molti meno infermieri rispetto alla media dei paesi Ocse: si parla di 5,5 unità ogni mille abitanti, contro una media di 8,9. L’Italia, quindi, si colloca nei posti più bassi tra i paesi Ocse per numero di infermieri, seguita solo da Polonia, Israele, Lettonia, Grecia, Cile, Messico e Turchia, che detiene il primato negativo, con 2,1 infermieri ogni mille abitanti. Inoltre, come riportato anche dall’Istituto Superiore di Sanità, l’università italiana non riesce a formare abbastanza professionisti, con una carenza stimata a circa 60.000 unità nel 2006 e una copertura insufficiente delle posizioni disponibili pari al 15%.
Cosa vuol dire tutto questo? La mancanza di personale infermieristico ha ripercussioni gravi per tutti, dai professionisti sanitari ai pazienti stessi. Diversi studi, infatti, mostrano che un aumento del numero di infermieri riduce la mortalità nelle unità mediche, chirurgiche e di terapia intensiva. D’altra parte, la carenza di personale sanitario può condurre chi svolge questa professione a burnout, insoddisfazione lavorativa e desiderio di cambiare occupazione. Questo vale anche nel nostro paese: una recente indagine condotta in Italia ha esaminato il benessere del personale infermieristico, rivelando che, di circa 3000 infermieri intervistati, il 47,3% si sente stressato e privo di energia. Inoltre, il 40,2% evidenzia un elevato esaurimento emotivo, mentre il 46,4% di quelli esposti ai pazienti Covid-19 presenta livelli elevati di stress. L’ambiente lavorativo viene descritto come frenetico e caotico dal 43,4% degli infermieri, con solo il 3,2% che percepisce la sicurezza del paziente come “eccellente” nel proprio ospedale. Tra le cause delle cure mancate nei confronti dei pazienti, la maggior parte dei professionisti sanitari ha individuato proprio la carenza di personale. Insomma, come ci ricorda il tema della Giornata Internazionale di quest’anno, gli infermieri sono fondamentali per il presente e il futuro della nostra sanità: per questo è importante sottolinearne il loro ruolo, in generale e all’interno del team sanitario, per la salute e il benessere dei pazienti. Ma come è cambiato quest’ultimo nel corso degli anni, e come affrontare i problemi relativi a questa preziosa professione sanitaria? Ne abbiamo parlato con Luigi Zappacosta, Dirigente delle Professioni Sanitarie del Gruppo Synergo.
Come pensa sia cambiato il ruolo dell’infermiere nel corso degli anni?
Ho avuto la fortuna di assistere all’evoluzione che la professione infermieristica ha avuto nel tempo. Ho iniziato la mia esperienza nei primissimi anni Ottanta, anni in cui si poteva accedere alla professione in giovanissima età: era sufficiente aver compiuto gli studi dell’obbligo e si sosteneva un percorso formativo triennale, dove la formazione era del tutto medico-centrica e la funzione professionale era ancillare rispetto a quella medica. Eppure, già da allora si apprezzava la necessità di imprimere una svolta alla professione, valorizzando la specificità della disciplina infermieristica. Nel tempo, tale necessità si è concretizzata nell’ingresso della formazione infermieristica nelle Università, arrivando ad occupare l’intero percorso accademico che, passando dalla Laurea in Infermieristica arriva fino al Dottorato di Ricerca. Ciò è stato possibile grazie all’impegno dei numerosi colleghi che hanno approfondito lo studio della disciplina infermieristica, definendo paradigmi specifici e consentendo così l’elaborazione di modelli teorici a cui fare riferimento nell’esercizio di questa disciplina in ambito clinico. Oggi la professione infermieristica è riconosciuta come professione intellettuale, con un proprio specifico contenuto disciplinare.
Qual è il ruolo degli infermieri nel team sanitario e come si integra con altri professionisti della salute?
Il cambiamento che la professione infermieristica ha avuto nel tempo ha agito da traino per le altre professioni sanitarie, che a loro volta hanno definito ambiti specifici rispetto al loro ruolo per garantire al cittadino-utente risposte efficaci ai bisogni di salute, nel rispetto dei principi di equità, uguaglianza ed universalità che la nostra legislazione fino ad oggi ci impone. Lo sviluppo delle conoscenze e delle competenze dell’infermieristica e delle altre professioni sanitarie, infatti, unite all’attribuzione delle responsabilità in capo a ciascuna delle professioni che rispondono ai bisogni di salute dei pazienti, riconoscono a ciascun professionista sanitario il proprio ambito di intervento. Ai medici è riconosciuta la funzione relativa alla diagnosi e alla terapia, agli infermieri quello di individuare e dare risposta ai bisogni di assistenza infermieristica, mentre a ciascuna delle altre professioni sanitarie è riconosciuta la propria specificità. Tuttavia, solo da una azione integrata di ciascun componente del team sanitario è possibile dare risposte alle complesse problematiche di salute con cui oggi siamo tenuti a confrontarci, viste le condizioni individuali, sociali ed economiche che contraddistinguono questo momento storico.
Qual è, a suo parere, il contributo più significativo che gli infermieri apportano alla cura dei pazienti?
Direi che la prima precisazione che farei è che il contributo che gli infermieri apportano alla cura della persona non è rivolto solo al cittadino che vive l’esperienza della malattia, contesto in cui siamo più abituati a considerare la figura professionale dell’infermiere. Il bisogno di assistenza infermieristica è espresso nei diversi contesti di vita della persona, dei nuclei familiari degli aggregati sociali. Da qui l’approfondimento della disciplina infermieristica in situazioni diverse dal contesto più abituale che è quello ospedaliero. In particolare, l’infermieristica di prossimità porta alla creazione di ambulatori infermieristici di quartiere con un’azione proattiva, attraverso programmi di educazione alla salute e prevenzione delle malattie; l’istituzione dell’infermiere di famiglia porta alla capillarizzazione dell’assistenza infermieristica favorendo la continuità assistenziale e riducendo l’accesso alle strutture ospedaliere sempre più orientate al trattamento di situazioni di acuzie; l’infermieristica scolastica (una volta attiva nei plessi scolastici) porta a porre l’accento a stili di vita corretti fin dall’infanzia oltre che a favorire l’inserimento nel contesto scolastico di persone che manifestano il bisogno di assistenza infermieristica in situazioni di patologie specifiche; l’applicazione di modelli di assistenza infermieristica basati sul “gentle care” o sui cosiddetti “fundamentals of care” che rappresentano modelli di cura infermieristici tesi a migliorare la risposta ai bisogni espressi e non espressi in contesti dove l’autonomia personale è limitata o assente. Questi sono solo alcuni esempi di quale può essere il contributo che la scienza infermieristica ed i conseguenti modelli applicativi può dare in un contesto socio-economico in continuo mutamento come è il tempo che stiamo vivendo.
Come si possono gestire lo stress e il carico emotivo che possono derivare dalla professione infermieristica?
Come per tutte le professioni di aiuto, anche per la professione infermieristica è necessario individuare modalità che consentono di gestire il carico emotivo derivante dal vissuto quotidiano, che molto spesso è pervaso da situazioni di sofferenza. La propensione personale a svolgere professioni di questo genere può rappresentare uno scudo capace di regolare il carico emotivo, a cui si aggiunge lo stress derivante dal carico di lavoro a cui sono sottoposti i professionisti e la crescente pressione che l’utenza esercita verso le strutture sanitarie (vedi l’aumento delle aggressioni rivolte al personale sanitario, fenomeno in costante aumento). Ma la propensione personale non basta. Per questo sono importanti modelli organizzativi aziendali che prestano attenzione allo stato psicologico ed emotivo dei propri professionisti, offrendo anche supporto specialistico quando necessario: in questo modo sarà sicuramente possibile mitigare gli effetti dello stress e del sovraccarico emotivo degli infermieri. Vi è poi un aspetto di carattere generale: il giusto riconoscimento sociale del ruolo che la professione infermieristica ha in quanto scienza e arte porterebbe ad aumentare il grado di autostima dei professionisti stessi, che non voglio essere ricordati come “eroi” del tempo appena trascorso, ma come componente professionale attiva nel garantire il benessere e la salute individuale e collettiva.