Di Chiara Di Lucente

Cause, sintomi, decorso e trattamenti disponibili della demenza più comune, che colpisce soprattutto le persone anziane

È la forma di demenza più comune nelle persone anziane: stiamo parlando della malattia di Alzheimer, patologia neurodegenerativa progressiva che distrugge le cellule del cervello, in particolare le aree deputate alla memoria e alle funzioni cognitive. Secondo l’Istituto superiore di sanità (Iss), la malattia di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e il 20% delle persone con più di 85 anni: in Italia si stima che circa 500mila siano affette da questa malattia. La demenza si presenta inizialmente in modo subdolo, con dimenticanze di poco conto, fino a progredire verso una condizione irreversibile in cui viene compromessa la capacità di pensare, parlare e compiere le azioni della vita quotidiana. Non sono note le cause della malattia Alzheimer, né al momento sono disponibili trattamenti specifici: tuttavia, vi sono accorgimenti da adottare negli stili di vita che possono aiutare a diminuire i fattori di rischio e a favorire il benessere cerebrale e cognitivo.

La demenza più comune

La demenza è una condizione in cui si verifica la perdita del funzionamento cognitivo (ovvero il pensare, ricordare e ragionare) e delle capacità di compiere azioni al punto da interferire con la vita e le attività quotidiane di una persona. Vi sono numerose sfumature in questa definizione, in quanto le demenze non solo possono variare in base alla loro causa e alle loro manifestazioni, ma anche in base alla gravità: si va dallo stadio più lieve, in cui la perdita delle funzioni cognitive ha appena iniziato a influenzare il comportamento di una persona, agli stadi più avanzati, quando la persona deve dipendere completamente dagli altri per svolgere le attività della vita quotidiana.

Tra le demenze che possono colpire la popolazione generale, la malattia di Alzheimer rappresenta circa il 70% dei casi, in particolare nelle persone anziane. La prima descrizione della malattia, da cui prende anche il nome, la dobbiamo ad Alois Alzheimer, uno psichiatra tedesco che nel 1907 si appassionò al caso di Auguste Deter, una donna di 51 anni affetta da una forma sconosciuta di demenza, i cui sintomi comprendevano perdite di memoria, problemi di linguaggio e comportamento imprevedibile. Colpito da quell’insolita forma di malattia mentale, Alzheimer descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici della paziente quando era in vita e poi, quando morì poco tempo dopo, eseguì un’autopsia per capire se dietro la sua malattia vi fossero cause fisiche. In effetti, durante l’analisi dei tessuti cerebrali, Alzheimer trovò strani agglomerati (ora chiamati placche amiloidi) e di fasci di fibre aggrovigliate (ora chiamati grovigli neurofibrillari). Nonostante oggi, dopo più di un secolo dalla morte di Auguste Deter, non si conosca la causa specifica della malattia di Alzheimer (che si considera una malattia multifattoriale, in cui entrano in gioco più di una componente), queste placche e grovigli nel tessuto cerebrale sono ancora considerati una delle caratteristiche principali della malattia, insieme alla perdita di connessione tra le cellule cerebrali. In particolare, tutto ciò condurrebbe alla morte dei neuroni in precise aree cerebrali che normalmente sono deputate alla memoria e alle funzioni cognitive.

La diagnosi e i sintomi

Ad oggi l’unico modo di fare una diagnosi certa di Alzheimer è attraverso l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile solo con l’autopsia dopo la morte del paziente. Ciò vuol dire che durante il decorso della malattia si può fare solo una diagnosi possibile o probabile, in cui i medici si avvalgono di esami clinici, test neuropsicologici per misurare la memoria e le capacità cognitive ed esami di imaging come Tac cerebrali. Questi esami permettono di escludere altre possibili cause che portano a sintomi simili a quelli dell’Alzheimer, come problemi alla tiroide, reazioni avverse a farmaci, depressione, tumori cerebrali o malattie vascolari.

La malattia di Alzheimer è una malattia cronica e progressiva. Prima che si manifestino i sintomi generalmente ci vogliono anni, perché le strutture patologiche che la caratterizzano si formano lentamente all’interno del cervello: i pazienti generalmente vivono fino a 8-10 anni dopo la diagnosi. La malattia inizialmente si manifesta con sintomi lievi legati soprattutto alla memoria, come non riuscire a ricordare conversazioni o eventi recenti oppure dimenticare i nomi di luoghi e oggetti. Man mano che la condizione va avanti, però, i problemi di memoria diventano più gravi e possono svilupparsi ulteriori sintomi, come ad esempio confusione, disorientamento, difficoltà a pianificare o prendere decisioni, problemi di linguaggio e problemi legati ai movimenti, fino a non riuscire a svolgere le azioni quotidiane e di cura di sé in autonomia. Le persone con malattia di Alzheimer spesso manifestano anche cambiamenti di personalità: potrebbero diventare aggressive, esigenti e sospettose delle altre persone e sviluppare sintomi legati all’ansia e alla depressione.

I trattamenti e la prevenzione

Fino al 2021, non esistevano farmaci in grado di fermare e far regredire la neurodegenerazione data dalla malattia di Alzheimer e tutti i trattamenti disponibili puntavano a contenerne i sintomi, soprattutto quelli legati alla memoria e all’insonnia, all’ansia e alla depressione. Nel giugno 2021, però, ha fatto piuttosto scalpore l’approvazione da parte della Food and drug administration (Fda), l’ente regolatorio degli Stati Uniti dell’aducanumab, un anticorpo monoclonale in grado di attaccare una delle proteine che causano le placche amiloidi e che quindi era indicato per il trattamento dell’Alzheimer nelle fasi iniziali. Sebbene avesse infuso molta speranza come prima terapia specifica per questa demenza, l’aducanumab ha sollevato da subito diversi dubbi sulla reale efficacia nel trattare la neurodegenerazione e sulla sicurezza del farmaco stesso: per questo, quando sottoposto al processo di valutazione per l’autorizzazione in Europa, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) l’ha respinto.

Sebbene, quindi, al momento non ci siano farmaci approvati specifici per il trattamento dell’Alzheimer, numerosi studi hanno sottolineato la correlazione tra determinati stili di vita e l’insorgenza della malattia: pertanto, modificandoli, è possibile contribuire a preservare il proprio benessere neurologico e cognitivo. In particolare, tra i comportamenti particolarmente protettivi nei confronti delle demenze (ma non solo) troviamo:

• seguire una dieta sana;
• curare la propria salute cardiovascolare;
• non essere sedentari;
• smettere di fumare;
• aumentare il livello di interazioni sociali;
• avere una vita mentalmente attiva (con la lettura, lo studio e altre attività che stimolano il pensiero).

Fonti:
  • https://www.epicentro.iss.it/alzheimer/
  • https://www.nia.nih.gov/health/alzheimers-disease-fact-sheet
  • https://www.nhs.uk/conditions/alzheimers-disease/
  • https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/withdrawn-applications/aduhelm