Di Chiara Di Lucente

Colpiscono un numero limitato di persone (ma non così basso come si può credere) e costituiscono un problema sanitario estremamente importante: cosa sono le malattie rare e cosa può fare la ricerca scientifica al riguardo

Capitando una volta ogni quattro anni, il 29 febbraio è il giorno più raro in assoluto: non è un caso, quindi, che proprio in questa data (e il 28 febbraio durante gli anni non bisestili) ricorra la Giornata mondiale delle malattie rare, istituita nel 2008 dall’alleanza non governativa EURORDIS Rare Diseases Europe per sensibilizzare il pubblico generale e i decisori politici sulle malattie rare e il loro impatto sulla vita dei pazienti. Le malattie rare sono un gruppo di patologie umane che hanno una bassa diffusione nella popolazione generale; esempi di queste malattie sono la fibrosi cistica, la malattia di Huntington o la malattia di Crohn. Le malattie rare sono estremamente eterogenee per cause, età di insorgenza, sintomi e decorso clinico, ma hanno anche caratteristiche comuni: la difficoltà di ottenere una diagnosi appropriata e rapida, la rara disponibilità di cure efficaci, l’andamento della malattia cronico-invalidante e in generale un peso individuale, familiare e sociale molto elevato. Nel loro insieme, infatti, le malattie rare costituiscono un problema sanitario importante e coinvolgono milioni di persone in tutto il mondo: nonostante i numerosi progressi, sono necessari ulteriori sforzi da parte della ricerca scientifica per comprendere meglio i loro meccanismi e sviluppare nuovi approcci diagnostici e terapeutici.

Che cos’è una malattia rara?

Come si può intuire dal termine, le malattie rare sono quelle malattie che colpiscono un numero limitato di persone; in realtà si tratta di una definizione piuttosto generica, e ogni paese ha criteri differenti in base ai quali una malattia rientra tra quelle rare. In particolare, l’Unione europea definisce una malattia rara come una malattia presente in meno di 2 persone su 10.000. Esistono migliaia di malattie rare (circa 7.000-8.000), di cui circa l’80% ha un’origine genetica, mentre nel restante 20% si tratta di malattie multifattoriali che derivano non solo dalla predisposizione individuale, ma anche da fattori ambientali o dall’interazione tra cause genetiche e ambientali; per esempio, oltre alle malattie genetiche rare, esistono malattie infettive molto rare, malattie autoimmuni rare, tumori rari. Inoltre, per molte malattie rare la causa non è ancora stata scoperta.

Il termine “raro” potrebbe essere fuorviante, perché si pensa erroneamente che le malattie rare siano eventi assolutamente sporadici e che colpiscano pochissime persone al mondo. In realtà, le malattie rare interessano collettivamente circa 25 milioni di persone negli Stati Uniti, circa 30 milioni in Europa e circa 400 milioni in tutto il mondo. Esse possono influenzare significativamente la vita degli operatori sanitari e il loro impatto sociale, economico e individuale è notevole per i pazienti, le loro famiglie e la società in generale. Le malattie rare, infatti, sono malattie spesso croniche e talvolta progressive, in diversi casi potenzialmente letali e invalidanti, come la malattia di Huntington, la spina bifida, la sindrome dell’X fragile, la sindrome di Guillain-Barré, la malattia di Crohn, la fibrosi cistica e la distrofia muscolare di Duchenne. Alcune di esse esordiscono nell’infanzia o alla nascita, come l’amiotrofia spinale, la neurofibromatosi, l’osteogenesi imperfetta, la condrodisplasia o la sindrome di Rett; altre (più della metà) possono comparire in età adulta, come la malattia di Huntington, la malattia di Crohn, la malattia di Charcot-Marie-Tooth, la sclerosi laterale amiotrofica o il sarcoma di Kaposi.

Sebbene siano una classe di patologie estremamente eterogenea, esse possiedono alcune caratteristiche comuni, che dipendono soprattutto dalla scarsa diffusione che hanno nella popolazione generale. In particolare, spesso la diagnosi è difficile e può richiedere anni, perché viene presa in considerazione ed esclusa una diagnosi dopo l’altra; molte malattie, poi, sono così rare che la maggior parte dei medici, anche specialisti, non ha mai incontrato un singolo paziente affetto da questa condizione, rendendo la pratica clinica particolarmente complessa. Sono ugualmente problematici l’accesso a cure di qualità, la presa in carico sociale e medica della malattia, il coordinamento tra le cure ospedaliere e le cure di base, l’autonomia e l’inserimento sociale, professionale e civico delle persone con malattie rare.

Trovare le cure

Per la maggior parte di queste malattie ancora oggi non è disponibile una cura efficace, ma numerosi trattamenti possono migliorare la qualità della vita e prolungarne la durata. In alcuni casi sono stati ottenuti progressi sostanziali, dimostrando che bisogna continuare a intensificare gli sforzi nella ricerca. Per esempio, negli anni Sessanta i bambini con fibrosi cistica avevano un’aspettativa di vita media inferiore ai 10 anni; oggi non esiste ancora una cura per questa malattia, ma i trattamenti mirati hanno contribuito ad aumentare l’aspettativa di vita media a quasi 40 anni.

La ricerca di base ha gettato le basi per progressi terapeutici che hanno trasformato la vita dei pazienti (e delle famiglie) affetti da condizioni estremamente diverse tra loro come la fenilchetonuria (un disturbo da carenza di enzimi) e la leucemia mieloide cronica. Altre ricerche hanno contribuito al progresso delle attività di prevenzione di alcune malattie rare, ad esempio fornendo le conoscenze che hanno permesso alle donne di seguire semplici accorgimenti nutrizionali prima e durante la gravidanza per ridurre l’incidenza di malformazioni congenite come la spina bifida. Nonostante questi successi, molte condizioni rare mancano ancora della comprensione dei meccanismi che vi sono alla loro base, per cui si hanno trattamenti molto meno efficaci.

Indagare a fondo queste malattie è un’azione urgente non solo per garantire trattamenti di qualità alle persone affette da malattie rare, ma perché intensificare gli sforzi nella ricerca di base si dimostra un investimento per tutta la ricerca clinica. Ad esempio, gli studi effettuati sul tumore di Wilms, un raro tumore pediatrico, sono stati utilizzati come modello per comprendere meglio i tumori pediatrici e i tumori in generale. Gli studi sulla malattia di Tangeri (una condizione estremamente rara in cui un gene associato all’elaborazione del colesterolo non funziona correttamente) hanno identificato un target per ridurre il rischio di malattie cardiache e hanno consentito di approfondire alcuni meccanismi della malattia di Alzheimer. La ricerca sulla sindrome di Liddle (una rara malattia renale ereditaria associata a ipertensione precoce e grave) ha contribuito alla conoscenza dei meccanismi patologici dell’ipertensione e gli studi sull’anemia di Fanconi hanno contribuito a fare luce sull’insufficienza di midollo osseo, sul cancro e sulla resistenza alla chemioterapia. Insomma, la ricerca scientifica va ulteriormente incentivata per comprendere i meccanismi alla base delle malattie rare e sviluppare nuovi approcci diagnostici e terapeutici, sia per i pazienti affetti da esse sia per la salute di tutti.

Fonti:
  • Nguengang Wakap, S., Lambert, D.M., Olry, A. et al. Estimating cumulative point prevalence of rare diseases: analysis of the Orphanet database. Eur J Hum Genet 28, 165–173 (2020). https://doi.org/10.1038/s41431-019-0508-0
  • Valdez R, Ouyang L, Bolen J. Public Health and Rare Diseases: Oxymoron No More. Prev Chronic Dis. 2016 Jan 14;13:E05. doi: 10.5888/pcd13.150491. Erratum in: Prev Chronic Dis. 2016;13:E20. PMID: 26766846; PMCID: PMC4714940.
  • Institute of Medicine (US) Committee on Accelerating Rare Diseases Research and Orphan Product Development. Rare Diseases and Orphan Products: Accelerating Research and Development. Field MJ, Boat TF, editors. Washington (DC): National Academies Press (US); 2010. PMID: 21796826.
  • https://www.iss.it/malattie-rare
  • https://www.orpha.net/consor/cgi-bin/Education_AboutRareDiseases.php?lng=IT