Di Chiara Di Lucente
Cosa significa cancerogeno, come vengono valutati i potenziali agenti cancerogeni e soprattutto, quali sono le conseguenze in termini pratici per la nostra salute? Scopriamolo in questo articolo

Un uomo sulla quarantina, apparentemente in salute, si trova nella sala da pranzo di casa sua e si sta accingendo a mangiare una fettina di carne. Ad un tratto, irrompe una voce fuori campo che dice: “Una ricerca afferma che mangiare carne rossa aumenta la possibilità di ammalarsi di cancro del 98%”. Il nostro protagonista, visibilmente preoccupato, smette immediatamente di mangiare la sua cena. “Ma contemporaneamente – continua la voce fuori campo – un’altra ricerca sulla carne rossa ne invoglia il consumo perché capace di migliorare le prestazioni sessuali”, al che l’uomo, seppur dubbioso, riprende a tagliare la sua carne. Si apre così un bel video promozionale preparato dall’associazione Frascati Scienza in occasione della Notte Europea dei ricercatori di qualche anno fa. Il video, in maniera sì ironica, ma non troppo distante dalla realtà, mostra l’impatto dei risultati di ricerche scientifiche che, se comunicate in maniera approssimativa, possono generare estrema confusione nel grande pubblico, alimentando ogni tipo di dubbio e incertezza, soprattutto per quello che riguarda le abitudini legate agli stili di vita, come il cibo che mangiamo o quello che facciamo nelle nostre attività quotidiane.
L’esempio scelto nelle frasi di apertura dello spot, poi, è calzante: tali messaggi apparentemente ambivalenti che provengono dal mondo della scienza sembrano assumere maggiore peso quando sono in grado di evidenziare associazioni con malattie croniche e non, e soprattutto tumori di vario tipo. Nel 2015, per esempio, fece piuttosto scalpore tra i profani del mondo biomedico la scelta, da parte dell’Agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità preposta a questo scopo, di inserire la carne rossa lavorata (ovvero salumi e insaccati) tra i cosiddetti cangerogeni di gruppo 1, ovvero, i cancerogeni umani certi. Ma cosa significa questo termine, come vengono valutati i potenziali agenti cancerogeni e soprattutto, quali sono le conseguenze in termini pratici per la nostra salute (in altre parole, entrare in contatto con un agente cancerogeno di tipo 1 vuol dire necessariamente, in futuro, sviluppare una malattia neoplastica)? Scopriamone di più in questo articolo.
Che cos’è un agente cancerogeno e come viene studiato
Sono chiamate cancerogeni le sostanze e/o gli agenti la cui esposizione può provocare l’insorgenza di tumori. Cerchiamo di capire meglio cosa vuol dire. In particolare, un cancro si origina da modifiche nel DNA di una cellula, il suo “manuale di istruzioni”; normalmente, infatti, le cellule si moltiplicano per sostituire quelle danneggiate o vecchie in un processo guidato dal DNA. Tuttavia, a volte, errori nel DNA causati da diversi fattori possono portare a mutazioni che disturbano questo equilibrio, causando una moltiplicazione incontrollata delle cellule e la formazione di un tumore. Tali errori possono essere casuali, ereditati geneticamente o causati da fattori esterni, come quelli legati allo stile di vita, esposizioni ambientali naturali, trattamenti medici, esposizioni legate all’ambiente di lavoro e inquinamento. Quando un’agenzia scientifica definisce una sostanza come cancerogena, vuol dire che vi sono numerose evidenze scientifiche che ne confermano la capacità di causare questi errori nel DNA e di conseguenza, a lungo andare, un tumore. Attenzione, questo non significa che ogni esposizione a una data sostanza cancerogena porterà con certezza al cancro, di ogni tipo e in qualsiasi momento, ma piuttosto che ne aumenterà il rischio. L’effettiva insorgenza, poi, dipenderà dalla frequenza, dalla durata dell’esposizione e anche da fattori personali come la genetica dell’individuo. Inoltre, non tutte le sostanze cancerogene sono uguali: alcune sono più pericolose di altre e richiedono diverse quantità di esposizione per essere nocive.
Ma in che modo gli scienziati e le istituzioni sanitarie arrivano a tali conclusioni? Definire se una certa sostanza sia in grado di causare un cancro è molto complicato: da un lato perché, ovviamente, non è possibile testare una sostanza esponendo le persone ad essa e vedendo se si ammalano di cancro, d’altro canto perché il processo di insorgenza di tumore è molto complesso, e studiare una singola sostanza al di fuori di un laboratorio, in condizioni tutt’altro che controllate, rende difficile stabilire con chiarezza se essa possa avere un ruolo causale nell’insorgenza di una malattia neoplastica. Per fronteggiare questi ostacoli, un modo preliminare attraverso cui studiare il potenziale cancerogeno delle sostanze è con test su colture di cellule e animali da laboratorio: in particolare, gli scienziati espongono cellule in vitro e organismi animali, in condizioni estremamente controllate, ad alte dosi della sostanza indagata, per vedere se essa è in grado di indurre l’insorgenza di un tumore. Sebbene questi studi mostrino che certi agenti sono in grado di causare il cancro negli animali o in colture cellulari, non è sempre chiaro se avranno, nella vita reale, lo stesso effetto sugli umani. I risultati ottenuti, infatti, possono variare quando le persone sono esposte a tale sostanza a dosi inferiori o con modalità diverse. Per questo motivo, oltre ai risultati derivanti da questo tipo di test, le agenzie che si occupano del rischio di cancro si avvalgono anche di studi epidemiologici (quelle ricerche che, monitorando un campione di persone per un certo intervallo di tempo, analizzano come si distribuiscono determinate condizioni di salute e quali fattori influenzano questa distribuzione tra una data popolazione), strumenti essenziali per scoprire quali fattori possono avere un ruolo nell’insorgenza di un cancro, osservando come diverse abitudini di vita e ambienti influenzino la salute delle persone. Questi studi, però, sono complessi, poiché ogni persona è esposta a una varietà di sostanze che cambiano nel tempo, sia a casa che al lavoro, oppure attraverso l’alimentazione o l’aria respirata. Identificare quale specifico fattore sia responsabile del cancro può essere quindi molto difficile. Per ottenere risultati più affidabili, gli scienziati combinano i dati di questi studi con quelli provenienti dalle ricerche di laboratorio, cercando di avere una visione più completa su cosa effettivamente aumenti il rischio di sviluppare tumori. In particolare, quando le prove derivanti da questo tipo di studi sono ritenute sufficienti, l’esposizione o la sostanza viene etichettata come cancerogena, quando le evidenze disponibili sono convincenti ma non ritenute conclusive, l’esposizione o la sostanza può essere etichettata come probabile cancerogena. Quando esistono prove limitate e lungi dall’essere conclusive, l’esposizione o la sostanza possono essere etichettate come possibili cancerogene.
La classificazione IARC e le implicazioni per la nostra salute
Quando si tratta di valutare le sostanze come cancerogene, la maggior parte delle istituzioni si riferisce all’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), che fa parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e che ha tra i suoi principali obiettivi l’identificazione di cause e fattori che aumentano il rischio di cancro. Il sistema più utilizzato per classificare gli agenti in grado di causare tumori proviene proprio dalla IARC, che negli ultimi decenni, ha valutato il potenziale cancerogeno di oltre 1.000 probabili candidati, classificandoli in tre diversi gruppi.
- Gruppo 1: l’agente è cancerogeno certo per gli esseri umani. Questa categoria viene utilizzata quando vi sono prove sufficienti di cancerogenicità negli esseri umani. La valutazione si basa solitamente su risultati di studi epidemiologici che mostrano lo sviluppo del cancro negli esseri umani esposti a tale sostanza e anche su prove negli animali da laboratorio. L’alcol, il fumo di sigaretta, il benzene, la naftalina, o farmaci come la ciclosporina sono considerati agenti cancerogeni appartenenti al gruppo 1.
- Gruppo 2: agenti con una serie di prove di cancerogenicità negli esseri umani e in ambito sperimentale. A questo gruppo appartengono due sottocategorie, che indicano differenze livelli di evidenza.
- Gruppo 2A: l’agente è probabilmente cancerogeno per gli esseri umani. Questa categoria viene utilizzata quando vi sono prove limitate o sufficienti di cancerogenicità da studi epidemiologici e di laboratorio. In altre parole, vuol dire che è stata osservata un’associazione positiva tra l’esposizione all’agente e il cancro ma al tempo stesso non è stato possibile escludere altre spiegazioni che giustificassero l’insorgenza del tumore. Questa categoria viene utilizzata anche quando le prove sono inadeguate riguardanti la cancerogenicità negli esseri umani ma prove sufficienti di cancerogenicità in ambito sperimentale animali e nelle cellule in vitro. Ad esempio rientrano nel gruppo 2A le emissioni dalle fritture ad alte temperature, le carni rosse non lavorate, gli steroidi.
- Gruppo 2B: l’agente è possibilmente cancerogeno per gli esseri umani. Questa categoria viene generalmente utilizzata quando vi è solo una delle seguenti condizioni: prove limitate di cancerogenicità negli esseri umani, prove sufficienti di cancerogenicità negli animali da laboratorio, evidenze sufficienti da esperimenti in vitro sulle cellule. Per esempio, l’estratto di foglie intere di aloe vera è classificato nel Gruppo 2B, sulla base di studi che dimostrano che provochi il cancro nei ratti, ma non è stato studiato negli esseri umani.
- Gruppo 3: l’agente non è classificabile in termini di cancerogenicità per gli esseri umani. Questa categoria viene utilizzata più comunemente quando le prove di cancerogenicità negli esseri umani sono inadeguate, mentre le evidenze di cancerogenicità negli animali da laboratorio, come anche quelle sulle cellule e tessuti in vitro, sono limitate o inadeguate.
Ma quindi come orientarsi in base a tale classificazione? Torniamo all’esempio con cui abbiamo aperto l’articolo, la carne rossa. Come già anticipato, nel 2015 la IARC ha classificato la carne rossa lavorata come cancerogena appartenente al gruppo 1 e la carne rossa non lavorata come probabilmente cancerogena, appartenente al gruppo 2A. Tuttavia, il rischio associato al consumo di questi alimenti non è paragonabile a quello del fumo di sigaretta, che è molto più elevato, nonostante quest’ultimo e i salumi siano entrambi cancerogeni di gruppo 1. La IARC, infatti, non compara la pericolosità dei diversi cancerogeni tra loro, ma stabilisce soltanto la loro potenziale cancerogenicità. Il consumo di carni rosse aumenta il rischio di sviluppare tumori, ma la probabilità di ammalarsi dipende da quanti e quali prodotti vengono consumati e per quanto tempo. Come riporta l’Airc, infatti, un consumo eccessivo di carni rosse, specie lavorate (salumi), aumenta il rischio di sviluppare alcuni tumori in modo proporzionale alla quantità e frequenza dei consumi, mentre un consumo modesto di carne rossa (non di salumi) è ritenuto accettabile. Per questo motivo è importante seguire le linee guida delle istituzioni sanitarie riguardo l’alimentazione, l’ambiente e gli stili di vita, che non tengono unicamente conto degli studi sulla cancerogenicità, ma anche su frequenze e modalità di esposizione ai diversi fattori potenzialmente cancerogeni.
Fonti:
- https://www.cancer.org/cancer/risk-prevention/understanding-cancer-risk/known-and-probable-human-carcinogens.html
- https://monographs.iarc.who.int/wp-content/uploads/2018/07/IARCMonographs-QA.pdf
- https://www.cancer.org/cancer/risk-prevention/understanding-cancer-risk/determining-if-something-is-a-carcinogen.html
- https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/corretta-informazione/possibile-sostanze-inserite-nella-lista-1-dello-iarc-siano-cancerogene-non-siano-sempre-vietate#:~:text=La%20IARC%20stabilisce%20soltanto%20se,aumentare%20il%20rischio%20di%20tumori.
- Pillole di Scienza #1 – Associazione Frascati Scienza