Di Chiara Di Lucente
invecchiamento attivo

Siamo una popolazione che invecchia sempre di più, ma come farlo nel migliore dei modi? Vediamolo in questo articolo

Siamo sempre più anziani, ormai lo sappiamo bene. Il progressivo invecchiamento della popolazione mondiale è infatti noto a tutti: lo affermano gli esperti, lo leggiamo sui giornali, lo studiano i bambini e i ragazzi a scuola. Stime numeriche ci dicono che entro il 2050 la proporzione di anziani tenderà a raddoppiare, passando dall’11% al 22% della popolazione totale nel mondo. Le proiezioni evidenziano che l’incremento della popolazione anziana sarà più evidente nei Paesi a minor reddito, ma è soprattutto nei Paesi industrializzati che si verificherà un aumento significativo degli ultraottatenni, il cui numero assoluto, entro il 2050, risulterà praticamente quadruplicato rispetto a oggi. In particolare, il nostro Paese non si discosta da questo trend, anzi: negli ultimi 50 anni l’invecchiamento della popolazione italiana è stato uno dei più rapidi tra i Paesi occidentali e si stima che nel 2050 la quota di ultra65enni ammonterà al 35,9% della popolazione totale, con un’attesa di vita media pari a 82,5 anni (79,5 per gli uomini e 85,6 per le donne). Come riporta l’Istat, al 1° gennaio 2019 gli individui residenti in Italia con 65 anni di età ed oltre ammontano a 13,8 milioni, pari al 22,8 per cento del totale della popolazione. Nel 2009 sfioravano i 12 milioni e costituivano il 20,3 per cento, nel 2000 il 18, fino ad arrivare nel 1960, in cui gli italiani anziani erano appena 4,6 milioni, circa il 9 per cento della popolazione.

Una transizione demografica ed epidemiologica

Ma a cosa è dovuta tale transizione demografica? A partire dalla seconda metà del Novecento, complice il miglioramento delle condizioni di vita generali e i progressi della medicina, i Paesi occidentali hanno assistito a un aumento significativo dell’aspettativa di vita, insieme a una contemporanea e progressiva diminuzione delle nascite. Tuttavia, insieme alla maggiore longevità della popolazione – risultato, come è ovvio che sia, da ritenersi assolutamente auspicabile – si è verificato però un altro tipo di cambiamento, più epidemiologico che demografico: mentre fino al ventesimo secolo le malattie prevalenti erano quelle imputabili ad agenti infettivi o a carenze nutrizionali, con l’aumento della popolazione anziana si è verificato un progressivo incremento delle cosiddette malattie cronico degenerative. Cardiopatie, demenze, ictus, malattie metaboliche sono le più diffuse: le malattie croniche sono quelle patologie che iniziano a insorgere in età giovanile e/o adulta ma possono manifestarsi clinicamente solo dopo molti anni e richiedono un’assistenza sanitaria a lungo termine. I principali fattori di rischio associati alle malattie croniche sono comuni e modificabili, come per esempio una dieta poco sana, il fumo, l’abuso di alcol, la sedentarietà. Esistono anche fattori di rischio non modificabili, come – appunto – l’età e la predisposizione genetica, che, insieme ai fattori modificabili, concorrono all’insorgenza di queste malattie, che ad oggi rappresentano la principale causa di morte a livello globale. Le patologie croniche, oltre a incidere sulla mortalità, comportano anche un peggioramento significativo della qualità della vita di chi ne è colpito, specie dai 65 anni in poi, quando iniziano a manifestarsi. Nei Paesi più ricchi, infatti, il maggior carico di malattia misurato in anni di vita aggiustati per disabilità (un parametro comunemente utilizzato in epidemiologia) è attribuibile alle patologie cardio e cerebrovascolari e ai disturbi neuropsichiatrici, tra cui la depressione, la malattia di Alzheimer e le altre forme di demenza. Come risultato di questa doppia transizione, demografica ed epidemiologica, si prevede che nei prossimi decenni, a livello globale, il numero delle persone con disabilità derivante principalmente dalle malattie cronico degenerative aumenterà proporzionalmente alla crescita della popolazione, con una maggiore percentuale proprio tra le persone di età più avanzata.

Cos’è l’invecchiamento…

I cambiamenti descritti sopra, come è ovvio, stanno producendo effetti significativi a livello globale, soprattutto sui sistemi sanitari e previdenziali. Sebbene l’aumento della longevità sia una conquista, infatti, esso rappresenta anche una potenziale minaccia se non accompagnato da politiche sanitarie che sostengano la ricerca sull’invecchiamento, l’assistenza e il benessere degli anziani. La sfida, quindi, è trovare un equilibrio tra la necessità di assistenza e il riconoscimento del valore delle persone anziane, promuovendo una visione attiva e coinvolgente dell’invecchiamento. Una maggior aspettativa di vita, quindi, offre l’opportunità di ripensare l’invecchiamento attivo con un approccio multidimensionale, che integri diversi aspetti, per garantire una buona qualità della vita delle persone anziane. Prima di parlare in maniera approfondita dell’invecchiamento attivo, però, è bene chiarire meglio cosa sia l’invecchiamento, perché i cambiamenti che costituiscono e influenzano questo processo sono molteplici, complessi ed eterogenei. Partiamo dal livello biologico, ovvero quello che accade al nostro organismo con il passare del tempo. Come sottolinea l’Oms, l’invecchiamento è associato all’accumulo graduale di vari danni molecolari e cellulari; tali danni portano nel tempo a una diminuzione delle riserve fisiologiche, a un aumento del rischio di insorgenza di malattie cronico degenerative e a un generale declino delle capacità individuali. Eppure, è bene evidenziare che questi cambiamenti sono solo vagamente correlati all’età anagrafica, e dipendono da moltissimi fattori. Quante volte, infatti, ci è capitato di avere a che fare con arzilli ultraottantenni con un ottimo stato di salute, sia fisico e mentale, e d’altra parte di incontrare persone più giovani di qualche decennio con più problemi e fragilità? Parte di questo è dovuto al fatto che molti meccanismi di invecchiamento sono casuali, ma anche l’ambiente e i comportamenti individuali hanno un forte impatto sulla salute delle persone: sono i famosi fattori di rischio per le malattie croniche di cui abbiamo già parlato.

Inoltre, invecchiare non significa solo andare in contro a cambiamenti biologici, ma questo processo porta anche a modifiche nei ruoli sociali: generalmente, contribuendo meno alle attività produttive, le persone anziane tendono a ricoprire un ruolo più marginale nella società; in più solitamente esse si trovano dover affrontare la perdita di persone care, trovandosi più spesso in solitudine e avendo delle conseguenze anche per quanto riguarda il loro benessere psicologico. Eppure, tali mutamenti non sono sempre necessariamente negativi: diverse indagini ci dicono che, in risposta alle sfide che l’età avanzata pone, le persone anziane tendono a scegliere obiettivi e attività meno numerose, ma più significative per loro, spostandosi da valori materiali a quelli più profondi e trascendentali. Questi cambiamenti possono spiegare perché molte persone anziane si sentano più soddisfatte della loro vita in  questa fase, rispetto ad altre a maggiore produttività o con minor impatto dovuto a condizioni fisiche. Quando si sviluppano politiche sanitarie per affrontare l’invecchiamento, quindi, è fondamentale non solo aiutare a gestire i cambiamenti che si presentano con l’età, ma anche promuovere il recupero, l’adattamento e la crescita personale delle persone anziane

… e cos’è l’invecchiamento attivo 

Per far fronte a questi obiettivi, quindi, tra gli strumenti che i singoli individui, ma soprattutto le istituzioni sanitarie e i governi dei singoli Paesi hanno a disposizione, c’è la promozione dell’invecchiamento attivo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) definisce l’invecchiamento attivo come “il processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza per migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano.” In altre parole invecchiamento attivo, come viene riportato su una pagina informativa del Dipartimento