Di Chiara Di Lucente
caregiver e genere

Viviamo in una società in cui l’aspettativa di vita si allunga: avere più anni a disposizione, però, non significa necessariamente viverli in salute. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento di malattie croniche e disabilità, infatti, rendono sempre più centrale il ruolo di chi presta assistenza. E a tal proposito, accanto ai professionisti della cura – medici, infermieri, operatori sociosanitari – troviamo una presenza meno visibile ma fondamentale: i caregiver familiari. Si tratta di persone che, a titolo gratuito, si prendono cura dei propri cari in modo continuativo, spesso a tempo pieno. Questa forma di assistenza, spesso poco considerata, è in realtà una colonna portante per le famiglie e per l’intero sistema sanitario, perché supplisce alle eventuali carenze dei servizi pubblici e ai costi che molte famiglie non riescono a sostenere per prendersi cura di persone non autosufficienti.

Nonostante l’attenzione crescente da parte della ricerca e delle politiche sociali al riguardo, la figura del caregiver familiare rimane scarsamente tutelata. Ma chi di noi non ha visto, o vissuto in prima persona, madri, figlie, zie o parenti impegnarsi nella cura di un familiare? L’uso del femminile sovraesteso non è casuale: in Italia come nel mondo, la maggioranza dei caregiver familiari sono donne. Un ruolo che risponde a dinamiche sociali e culturali profondamente radicate, ma che porta con sé un carico fisico, emotivo ed economico spesso sproporzionato, che segna profondamente la salute e la qualità della vita delle donne e, in modo indiretto, dell’intera società.

Caregiver familiari: chi sono, quanti sono, cosa fanno

Come riporta l’Istituto Superiore di Sanità, il termine inglese caregiver è entrato ormai stabilmente nell’uso comune e indica chi si prende cura di persone con malattie croniche o con disabilità funzionali. Solitamente viene fatta una distinzione tra caregiver formali (ovvero gli operatori sanitari, gli educatori, gli infermieri, i fisioterapisti, gli assistenti familiari retribuiti e così via) e i caregiver familiari (o informali), che svolgono attività di cura in ambito domestico senza un riconoscimento contrattuale o economico. Le attività del caregiver familiare possono spaziare da compiti pratici (come prendersi cura dell’igiene personale di chi assistono, della somministrazione di farmaci, dell’assistenza notturna, dell’accompagnamento a visite mediche) a compiti relazionali e di sostegno psicologico, fino alla gestione burocratica e organizzativa delle cure. Si tratta di un vero e proprio lavoro a tempo pieno, spesso non scelto ma assunto per amore, senso di responsabilità o assenza di alternative. Non solo: a fronte dell’impegno preso, molte volte il caregiver familiare non gode del necessario riposo né di periodi di vacanza, di giorni di malattia o di permessi per controlli medici, diritti a cui i caregiver formali hanno invece – ovviamente – accesso.

A proposito di diritti, in Italia, una prima definizione di caregiver familiare compare nella legge di bilancio n. 205 del 2017, che ha istituito anche un fondo regionale di sostegno per queste figure. Tuttavia, come riporta sempre l’Istituto Superiore di Sanità, manca ancora una normativa nazionale organica, con conseguente assenza di dati ufficiali, misure di tutela e riconoscimento dei diritti dei caregiver familiari. E quindi quante sono le persone che si prendono cura dei propri cari? Da un report della Commissione Europea del 2018 emerge che fino all’80% dell’assistenza a lungo termine è fornita da caregiver informali e che il numero di caregiver informali varia dal 10 al 25% della popolazione totale. Stiamo parlando di cifre comprese tra 75 e 186 milioni di persone. E nel nostro Paese? Un’indagine del 2018  dell’ISTAT sul tema della conciliazione tra lavoro e cura familiare stima, in Italia, circa 3 milioni e mezzo di persone che si prendono cura di familiari con disabilità, malattie croniche o persone anziane non autosufficienti. C’è da sottolineare che probabilmente il numero è sottostimato, in quanto l’indagine ha considerato la popolazione italiana fino a 64 anni.

Caregiver e differenze di genere, cosa dice la ricerca

Guardando i numeri più nel dettaglio, il dato che emerge in maniera più evidente è che la maggior parte dei caregiver familiari sono donne, che rappresentano fino all’80-90% del totale, tanto in Italia quanto nel resto del mondo. Si tratta soprattutto di figlie adulte o mogli, con un’età compresa tra i 45 e i 64 anni, ovvero ancora in età lavorativa. Non sorprende, quindi, che circa il 60% di loro dichiari di aver lasciato il lavoro per dedicarsi completamente all’assistenza del familiare. Nonostante negli ultimi anni – sia a causa di cambiamenti demografici, sia per cambiamenti culturali riguardo a ruoli di genere – anche gli uomini siano sempre più coinvolti nella cura di persone care, l’assistenza familiare rimane un’attività prevalentemente femminile, influenzata da fattori sociali e culturali che continuano a identificare le donne come “naturalmente predisposte” alla cura.

A fronte di questa sproporzione generalizzata, molte ricerche si sono dedicate a esplorare le caratteristiche e le ragioni delle differenze di genere nell’assistenza familiare. Gran parte della letteratura scientifica si è concentrata sull’assistenza agli anziani con demenza o patologie croniche e le numerose ricerche sul tema hanno evidenziato alcune differenze nel modo di vivere e svolgere il ruolo di caregiver in base al genere. Innanzitutto, le donne tendono a dedicare più tempo all’assistenza e si occupano più frequentemente della cura personale della persona malata o con disabilità, mentre gli uomini intervengono soprattutto nella gestione pratica e organizzativa. Le prime, oltre ad attività più intense e prolungate, riportano una maggiore difficoltà nel conciliare i diversi ruoli – madre, lavoratrice, figlia, moglie – e motivano il loro impegno soprattutto con un senso di obbligo familiare e legame affettivo. Gli uomini, pur richiamando motivazioni simili, pongono più spesso l’accento sul dovere e sull’impegno. Un altro concetto centrale che emerge dagli studi sull’assistenza familiare è il cosiddetto caregiver burden, ovvero il carico assistenziale che deriva dall’insieme di fattori fisici, emotivi, sociali ed economici connessi all’assistenza familiare. Molte ricerche indicano che le donne riportano un carico maggiore, sia in termini oggettivi – quantità e intensità dei compiti – sia soggettivi, con una percezione più forte di stress e fatica. Quando il carico assistenziale diventa eccessivo, il rischio per la salute del caregiver aumenta sensibilmente. Ansia, depressione e burnout sono tra le conseguenze più frequenti, a cui si aggiungono disturbi fisici legati allo stress cronico, come patologie cardiovascolari, metaboliche o del sistema immunitario.

Caregiver e salute, un legame imprescindibile

Parlando di salute, infatti, come sottolinea l’Istituto Superiore di Sanità, la qualità di vita dei caregiver familiari è, in generale, inferiore rispetto a quella della popolazione generale, con conseguenze rilevanti sulla loro salute fisica e mentale. Questo divario emerge in modo particolare nei casi di assistenza prolungata e ad alta intensità, come accade con persone affette da demenza, disabilità intellettive o disturbi comportamentali. Non solo: le donne sembrano particolarmente esposte al carico assistenziale, riportando più frequentemente scarsa salute percepita, ansia e depressione rispetto agli uomini. Una disparità che riflette sia differenze biologiche e psicologiche, sia fattori sociali come la scarsità di reti di supporto e servizi di sostegno. Alcune meta-analisi più ampie, tuttavia, mostrano che le differenze tra uomini e donne, pur esistenti, sono di entità modesta, il che suggerirebbe che variabili come la relazione di parentela, il contesto culturale o la condizione socioeconomica possano incidere più del genere stesso. Che esistano differenze di genere marcate o meno, rimane comunque fondamentale che chi si prende cura di un proprio caro possa prendersi cura di sé, proteggendo la propria salute per poter continuare a sostenere nel tempo il loro familiare.

Il caregiving informale o familiare rimane quindi una realtà essenziale ma ancora invisibile, sostenuta in gran parte dalle donne e con costi alti in termini di salute, lavoro e vita sociale. Le differenze di genere, pur non sempre nette dal punto di vista clinico, restano fondamentali per comprendere l’esperienza dell’assistenza familiare e adottare strategie che possano arginare fenomeni legati a un carico assistenziale troppo oneroso. Per questi motivi sono fondamentali interventi istituzionali che riconoscano pienamente il ruolo dei caregiver familiari, garantendo strumenti concreti come sostegni economici, servizi di sollievo e misure di conciliazione tra lavoro e cura. Solo così sarà possibile tutelare non soltanto le persone fragili, ma anche la salute e la dignità di chi ogni giorno se ne prende cura.

Fonti: