Di Chiara Di Lucente

Se pensiamo alla saggezza, probabilmente una delle prime immagini che ci viene in mente è quella di una persona anziana, capace di guardare alla vita con lucidità e profondità. Non a caso, come vedremo, in molte culture il “vecchio saggio” è una figura ricorrente, che incarna conoscenza, esperienza e capacità di guida. In effetti, mentre il corpo invecchia, la mente, almeno in alcuni suoi aspetti, può diventare più lucida, più ampia, più profonda. Ma questa intuizione, che con il passare degli anni si possa diventare non solo più esperti, ma anche più saggi, ha delle basi reali? Negli ultimi decenni, scienza e psicologia hanno iniziato a esplorare la relazione tra invecchiamento e saggezza in modo sistematico, spostando il fuoco da una visione puramente declinante della vecchiaia a una più complessa, trasformativa.
Le teorie della saggezza
Prima di capire cosa ci dice la scienza sul rapporto tra invecchiamento e saggezza, è utile chiarire cosa intendiamo davvero quando parliamo di saggezza. Si tratta di un concetto sfaccettato, che assume significati diversi in base alla cultura, al momento storico, al contesto in cui la osserviamo. Nonostante le molteplici modalità con cui è stata definita, un tema centrale condiviso dalla maggior parte della letteratura scientifica sulla saggezza è che essa sia una qualità multidimensionale, composta da elementi cognitivi, riflessivi e benevoli, che sono interdipendenti tra loro e apportano benefici alla persona saggia, agli altri e alla società nel suo complesso. In particolare, le cosiddette teorie esplicite della saggezza sono state sviluppate da esperti con l’obiettivo di definire uno standard ideale della saggezza come punto finale dello sviluppo umano. Tra queste, il modello più noto è il Berlin Wisdom Paradigm di Paul Baltes, in cui la saggezza viene valutata tramite risposte a problemi ipotetici complessi, secondo cinque criteri:
- Conoscenze pratiche: comprendono sia nozioni generali che specifiche riguardo alle condizioni della vita e alle sue variazioni. In altre parole, significa conoscere la natura umana e le tappe del corso della vita.
- Conoscenza procedurale: riguarda le strategie di giudizio e di consiglio applicabili alle questioni esistenziali. In sostanza, implica saper individuare i modi più adeguati per affrontare i problemi della vita.
- Contestualismo della durata della vita: si riferisce alla comprensione dei diversi contesti dell’esistenza e delle loro trasformazioni nel tempo. Significa essere consapevoli delle interconnessioni tra i vari ambiti della vita e del loro sviluppo lungo l’arco dell’esistenza.
- Relativismo: consiste nel riconoscere la pluralità di valori, obiettivi e priorità. Ciò implica accettare le differenze individuali, sociali e culturali che influenzano le scelte di vita.
- Incertezza: riguarda la consapevolezza dei limiti della conoscenza e dell’imprevedibilità degli eventi. Significa saper gestire l’indeterminatezza come parte integrante della condizione umana.
La maggior parte delle teorie concorda che lo sviluppo cognitivo avanzato è necessario ma non sufficiente per la saggezza, che richiede anche integrazione di riflessione, emozioni, personalità e comportamento prosociale. Infine, la saggezza è vista come un continuum di sviluppo personale, non una qualità binaria, che implica una trasformazione della personalità verso una minore centratura su sé stessi e una maggiore apertura agli altri e al mondo.
Le ricerche che appartengono alle teorie della saggezza cosiddette implicite mostrano che, anche senza una definizione scientifica, le persone condividono un’idea piuttosto coerente di cosa significhi essere saggi. Da diversi studi emerge che la saggezza viene vista come un equilibrio tra tre dimensioni principali, in cui alcuni modelli contemporanei, come quello della saggezza a tre dimensioni di Monika Ardelt:
- Cognizione – cioè conoscenza, esperienza, intelligenza e capacità di giudizio;
- Riflessione – la capacità di guardarsi dentro, di imparare dall’esperienza, di considerare più punti di vista e accettare la complessità;
- Compassione – empatia, sensibilità verso gli altri, capacità di essere gentili e non giudicanti.
Nei Paesi occidentali si tende a dare più peso agli aspetti cognitivi e riflessivi, mentre nelle culture orientali sono centrali anche qualità come la modestia, la discrezione e la benevolenza.
Alla ricerca di un legame tra saggezza e invecchiamento
Che relazione c’è, quindi tra invecchiamento e saggezza? Potremmo partire proprio dalle intuizioni più antiche e radicate nella nostra cultura: non è un caso se uno degli archetipi per eccellenza è proprio quello del vecchio saggio. Un’immagine ricorrente, che ritorna in molte tradizioni simboliche e narrative. Nel nostro immaginario collettivo, questa figura è onnipresente ed è spesso proprio il cinema a scolpirla nell’inconscio culturale. Pensiamo a personaggi come Gandalf ne Il Signore degli Anelli, Yoda in Star Wars, o il Maestro Miyagi in Karate Kid, Nonna Salice in Pochaontas: tutti anziani, tutti portatori di una saggezza che non deriva solo dall’intelligenza, ma da una lunga esperienza, da una profonda conoscenza di sé, e dalla capacità di guidare gli altri senza imporsi. E probabilmente non è un caso se, dal punto di vista della psicologia moderna, una delle prime trattazioni sistematiche sulla saggezza ha a che fare con deve a Stanley Hall, psicologo americano che nel 1922 pubblicò Senescence: The Last Half of Life. In quest’opera, Hall proponeva che la funzione evolutiva degli anziani fosse proprio quella di raccogliere e trasmettere saggezza: una qualità nutrita dalle esperienze di vita. In realtà prove empiriche suggeriscono che la saggezza in età avanzata è positivamente correlata al benessere soggettivo. In effetti, sembra che la saggezza sia più benefica per il benessere soggettivo in condizioni di avversità e stress, quando i mezzi esterni per aumentare il benessere sono meno disponibili. La saggezza tende a fornire un senso di padronanza e di significato nella vita che sostiene il benessere anche in circostanze avverse.
La domanda che sorge spontanea, adesso, è se effettivamente la saggezza aumenti con l’età. La risposta non è univoca e dipende anche da come la saggezza viene definita e misurata. Tuttavia, alcune tendenze generali emergono con chiarezza. In teoria, la saggezza è considerata un processo di sviluppo che dura tutta la vita. Erik Erikson la identificava come la virtù che nasce dal superamento della crisi dell’ultima fase della vita, quella dell’integrità dell’Io contro la disperazione: chi riesce ad accettare la propria vita, con le sue mancanze e i suoi fallimenti, può affrontare la vecchiaia e la morte con consapevolezza e serenità.
Nei modelli teorici più recenti, sono state ipotizzate diverse traiettorie evolutive della saggezza:
- può aumentare lungo tutto l’arco della vita,
- può restare stabile dall’età adulta in poi,
- oppure può calare nella vecchiaia dopo una crescita iniziale.
Questo implica che la saggezza non segue una traiettoria uguale per tutti: dipende da fattori di personalità, esperienze di vita, contesto familiare e culturale. Questo suggerisce che la motivazione allo sviluppo personale e morale gioca un ruolo chiave. La saggezza, quindi, non è un punto di partenza, ma un processo. Non è qualcosa che si possiede, ma qualcosa che – se si è disposti ad ascoltare, a cambiare, a connettersi – può emergere anche quando meno ce lo aspettiamo.
Perché studiare la neurobiologia della saggezza
In sostanza, quindi, la saggezza è un tratto umano complesso con diverse componenti specifiche: un processo decisionale sociale, una fine regolazione delle emozioni, comportamenti che favoriscono la socialità (pro-sociali), accettazione dell’incertezza, risolutezza e spiritualità. Ma si tratta solo di un costrutto o in qualche modo la saggezza può essere rilevata nelle attività del cervello? Negli ultimi anni, la psicologia e le neuroscienze hanno cominciato a studiare sistematicamente la saggezza. Non più solo come virtù filosofica o spirituale, ma come competenza da osservare, misurare e localizzare nel cervello. Se, fino a qualche decennio fa, attributi come la saggezza (ma anche lo stress o la resilienza) non venivano considerati come entità biologiche, i progressi nelle scienze neurobiologiche e psicosociali hanno portato al loro riconoscimento neuroscientifico. Ma cosa significa studiare la “neurobiologia della saggezza”? Significa chiedersi quali reti cerebrali si attivano quando prendiamo decisioni morali complesse? Quando troviamo senso nella sofferenza o ci dedichiamo al bene comune? Cosa succede a questi circuiti man mano che invecchiamo?
In un’ottica in cui passare da un modello deficitario della vecchiaia e dell’invecchiamento a un modello trasformativo della vecchiaia .
Il lavoro dello psichiatra e gerontologo Gene Cohen ha segnato una svolta in questo senso. Cohen si è battuto per ridefinire l’invecchiamento non come malattia, ma come processo potenzialmente creativo. Nel suo libro The Mature Mind, ha identificato le caratteristiche emergenti del cervello maturo, proponendo il concetto di intelligenza evolutiva: la capacità, unica per ciascuno, di integrare competenze cognitive, emotive e relazionali nella seconda metà della vita. Cohen parte da un punto cruciale, che ha a che fare proprio con la neurobiologia: molte delle “verità” che abbiamo imparato sul cervello sono state sbugiardate dalla ricerca in ambito di neuroscienze. Per esempio:
- Il cervello non può generare nuove cellule nervose.
- Gli adulti anziani non possono apprendere come i giovani.
- Le connessioni neurali sono fisse.
Tutte queste affermazioni sono sbagliate. E, come dice Cohen, è una buona notizia per tutti noi. Già da diversi decenni, le ricerche in ambito neuroscientifico hanno dimostrato che:
- Il cervello è plastico: si riscolpisce in risposta all’esperienza.
- Si formano nuove cellule cerebrali anche in età avanzata.
- Il sistema limbico (le emozioni) diventa più equilibrato con l’età.
- I due emisferi cerebrali vengono utilizzati in modo più bilanciato dagli anziani.
Certo, l’invecchiamento comporta cambiamenti biologici: i tempi di reazione si allungano, alcune funzioni mnemoniche si riducono, e le cellule cerebrali come tutte le altre invecchiano. Molto di ciò che abbiamo considerato “declino cognitivo legato all’età” è in realtà causato da patologie (come l’Alzheimer o le microischemie) o da disturbi come la depressione. Il cervello sano della persona anziana, in molti casi, funziona tanto bene — o meglio — di quello più giovane, soprattutto nelle attività che coinvolgono empatia, visione d’insieme, saggezza pratica. La saggezza, dunque, può essere letta come un’espressione matura del potenziale umano: una funzione complessa, radicata nel cervello e coltivabile nel tempo.
I risultati e le implicazioni pratiche
Andando più nel dettaglio, il neuroimaging funzionale consente l’esplorazione di quelli che sono ritenuti gli attributi psicologici e i correlati neurali (cioè le tracce nel nostro cervello) che costituiscono la saggezza. Gli studi più recenti ci dicono, infatti, che la corteccia prefrontale (la parte anteriore del lobo frontale del cervello) per esempio, occupa un posto di rilievo nelle diverse componenti della saggezza, come la regolazione delle emozioni e delle azioni sulla base dei propri valori; la corteccia prefrontale laterale, invece, facilita il processo decisionale razionale, mentre la corteccia prefrontale mediale è implicata nella valenza data alle emozioni e nei comportamenti pro-sociali. Anche le vie di ricompensa regolate dal neurotrasmettitore dopamina sembrano importanti per promuovere i comportamenti sociali tipici delle persone sagge.
La saggezza, dunque, emerge dall’interazione tra più aree del cervello, che cooperano per integrare emozioni, pensieri, memoria ed esperienza sociale. Le più coinvolte sono:
- La corteccia prefrontale (PFC), che è la “sede” delle funzioni esecutive:
- La parte laterale è attiva quando dobbiamo compiere scelte complesse, valutare alternative, regolare le emozioni, affrontare ambiguità o relativizzare valori in conflitto. Ha anche un ruolo inibitorio importante: modula l’attività di strutture più impulsive, come l’amigdala e il sistema limbico.
- La parte mediale è particolarmente coinvolta negli aspetti più emozionali e relazionali della saggezza: empatia, compassione, capacità di riflettere su se stessi e sugli altri, spiritualità.
- La corteccia orbitofrontale (OFC) è cruciale per la capacità di rimandare gratificazioni e prendere decisioni ponderate: lesioni in quest’area portano spesso a comportamenti impulsivi e disfunzionali.
- La corteccia cingolata anteriore (ACC) ha un ruolo nel rilevare conflitti tra atteggiamenti, valori o decisioni, e nel supportare processi analitici in situazioni di incertezza.
- L’amigdala, una struttura subcorticale storicamente associata alla paura e alle emozioni di base, partecipa anche a comportamenti sociali e prosociali. È interessante notare che la sua attività può essere modulata da fattori genetici, e influenza direttamente il nostro grado di cooperazione e risposta emotiva.
- La corteccia cingolata posteriore (PCC) è legata alla riflessione su di sé e al ragionamento morale. È coinvolta quando pensiamo alla nostra identità, ai nostri valori e al modo in cui ci relazioniamo agli altri in senso etico.
Queste aree, pur con funzioni distinte, collaborano in modo dinamico per permetterci di affrontare la complessità della vita con equilibrio, comprensione e lungimiranza. È questa interazione a costituire la base neurobiologica della saggezza. E per quanto riguarda il rapporto tra saggezza e invecchiamento? La scienza sta cercando di verificare l’ipotesi che la saggezza aumenti con l’età: sebbene i dati non siano ancora definitivi, alcune funzioni associate alla saggezza, come la regolazione emotiva, la tolleranza all’ambiguità o la capacità di riflettere su di sé, sembrano effettivamente migliorare negli anziani. Non solo: le ricerche più recenti suggeriscono che la saggezza potrebbe rappresentare un fattore decisivo per la longevità e per un invecchiamento in buona salute. A dimostrarlo è, tra gli altri, il celebre Harvard Study of Adult Development, il più ampio e duraturo studio longitudinale mai condotto sul tema, guidato da George Vaillant: per oltre 75 anni ha seguito i partecipanti, analizzando i comportamenti e i fattori che influenzano benessere fisico e psicologico. I risultati mostrano che, intorno agli 80 anni, la saggezza è strettamente correlata al benessere complessivo.
Ma in che modo la saggezza contribuisce a un invecchiamento sano? I meccanismi sono diversi, e uno in particolare sembra cruciale: la capacità di contrastare la solitudine, una delle sfide più pressanti delle società contemporanee. A confermarlo, uno studio del 2019 condotto su quasi 2.500 adulti tra i 20 e i 69 anni, che ha evidenziato come i comportamenti pro-sociali possano agire come protezione contro l’isolamento sociale.
Capire i meccanismi cerebrali alla base della saggezza non è solo un esercizio teorico: apre possibilità importanti per il benessere psicologico e sociale. Per esempio, si sta esplorando il potenziale della stimolazione cerebrale non invasiva o di approcci farmacologici mirati per rafforzare le componenti della saggezza nelle persone a rischio, come chi soffre di disturbi dell’umore, dell’impulsività o di isolamento sociale. In sintesi, la saggezza, pur rimanendo una qualità difficile da definire pienamente, è sempre meno vista come una dote “mistica” o irraggiungibile: al contrario, appare come una competenza allenabile, con basi reali e modificabili nel cervello umano.
Fonti:
- Baltes, P. B., & Staudinger, U. M. (1993). The search for a psychology of wisdom. Current Directions in Psychological Science, 2(3), 75–80.
- Ardelt, M. (2011). The measurement of wisdom: A commentary on Taylor, Bates, and Webster’s comparison of the SAWS and 3D-WS. Experimental Aging Research, 37(2), 241–255.
- Hall, G. S. (1922). Senescence: The Last Half of Life. New York: Appleton.
- Meeks, T. W., & Jeste, D. V. (2009). Neurobiology of wisdom: A literature overview. Archives of General Psychiatry, 66(4), 355–365.
- Cohen, G. D. (2006). The Mature Mind: The Positive Power of the Aging Brain. Basic Books.
- Vaillant, G. E. (2002). Aging Well: Surprising Guideposts to a Happier Life from the Landmark Harvard Study of Adult Development. Little, Brown and Company.