maurizio di giuseppe

Oggi la sanità non può prescindere dall’innovazione tecnologica: sistemi informatici affidabili, sicuri e ben gestiti sono fondamentali, anche se chi ne usufruisce non sempre se ne accorge. Dietro ogni processo digitale è fondamentale il lavoro di professionisti specializzati, che, “dietro le quinte”, si assicurano che tutto funzioni per il meglio, giorno dopo giorno. E a tal proposito, chi lavora nel gruppo Synergo conosce bene una presenza costante e affidabile: quella di Maurizio Di Giuseppe. Tecnico informatico, per il Gruppo Synergo si occupa di sistemi informativi e proprio in questo mese festeggia — e noi con lui — un traguardo speciale: 30 anni in azienda. Lo abbiamo incontrato per ripercorrere tre decenni di trasformazioni tecnologiche e di crescita, personale e professionale.

Maurizio, cominciamo dal principio. Giugno 1995: cos’è successo?

Avevo 19 anni. Frequentavo ancora il quinto anno di scuola e, grazie a una collaborazione con un’azienda di consulenza informatica, ho iniziato a lavorare come consulente esterno tecnico informatico in diverse aziende. Era una sorta di alternanza scuola-lavoro, ma all’epoca non si chiamava così. Uno dei miei primi incarichi è stato proprio alla Casa di Cura Pierangeli, in radiologia, dove c’erano solo tre terminali. E da lì è iniziato tutto.

Da quel 1995, hai visto e toccato con mano l’evoluzione della tecnologia giorno per giorno. Quali sono i momenti più significativi per te?

Ce ne sono tanti. La prima sala server costruita da zero, l’implementazione del digitale nel 2012 per le immagini cliniche – prima erano esclusivamente su lastra fotografica, la nascita del centralino VoIP. Ma soprattutto, ho assistito a cosa significa passare da tre computer a oltre 250, anche con l’acquisizione delle altre Case di Cura e la nascita del Gruppo Synergo. È stato un lavoro enorme, costruito nel tempo.

Come si lavorava prima, quando internet non c’era ancora?

Praticamente tutto con carta e penna. Ogni cosa, anche l’organizzazione interna, il che non era sempre facilissimo. Poi è arrivato il primo software gestionale, e sembrava dovesse rivoluzionare tutto, e dopo di quello, man mano che passava il tempo, altre innovazioni tecnologiche, per facilitare il lavoro a chi lavora nelle nostre strutture, migliorare l’erogazione delle prestazioni cliniche e, in ultima analisi, migliorare l’esperienza dei pazienti. Rispetto alle prime innovazioni tecnologiche, oggi noto un po’ più di resistenza, forse perché i sistemi cambiano continuamente.

Se dovessi scegliere un ricordo tra tanti, uno solo, quale sarebbe?

La costruzione della prima sala server. Era una scommessa tecnica e personale. Vederla realizzata, funzionante, poi aggiornata e spostata negli anni… è come veder crescere una creatura che hai contribuito a far nascere.

Veniamo a oggi, dunque. Di cosa ti occupi esattamente?

Sono tecnico informatico nel reparto di Sistemi Informativi, mi occupo di helpdesk, sistemistica, un po’ di tutto: quello che serve per far girare le cose. Le telefonate? Possono essere due come sessanta al giorno, ogni giornata è diversa e richiede flessibilità. Quando ho iniziato, ero da solo, ma oggi posso contare su due colleghi, Carlo Minnucci, Responsabile dei Sistemi Informativi, e Massimo Monaco anche lui nel reparto di Sistemi Informativi: un cambiamento importante, che ha reso il lavoro più sostenibile e ci permette di coprire meglio tutte le esigenze. Il confronto è fondamentale, così come la fiducia reciproca: è così che si lavora bene.

Come è cambiato, nel corso di tutti questi anni, il tuo rapporto con il Gruppo Synergo?

In Synergo ci sono cresciuto. Letteralmente. Tutti mi conoscono e, alcuni mi hanno visto passare praticamente dall’adolescenza all’età adulta. E anche se le tecnologie sono cambiate, il mio modo di lavorare è sempre rimasto legato al contatto umano. Quello non deve mai mancare.

Guardando al futuro, come vedi il tuo lavoro nei prossimi dieci anni?

Spero con meno telefonate (ride). Ma più seriamente, credo che l’intelligenza artificiale possa aiutare, a patto che non tolga l’umanità dalle professioni di cura. In ambito sanitario, per esempio, capisco assolutamente il senso dei robottini che consegnano farmaci – come è successo in alcuni ospedali italiani – ma secondo me bisogna evitare il distacco totale tra personale sanitario e pazienti.