Il prolasso vescicale o cistocele è una condizione medica della donna caratterizzata dalla discesa della vescica dalla sua sede naturale, verso la vagina. A volte la vescica può arrivare a sporgere nella vagina ed è associato a un indebolimento del tessuto di supporto presente fra i due organi.
Quali sono le cause e i fattori di rischio?
Numerosi fattori possono essere alla base dell’insorgenza del prolasso, agendo in maniera lenta e progressiva e sottoponendo le varie strutture di supporto a micro traumatismi cronici, sfiancandole.
I fattori di rischio di maggiore importanza sono:
- Parti vaginali plurimi: questo è il fattore di rischio principale, il parto rappresenta un evento traumatico per le strutture pelviche (soprattutto per i parti di feti macrosomici, ossia più grandi della media), maggiore è il numero di parti, maggiore è il rischio che si sviluppi il prolasso.
- Età avanzata: con l’età fisiologicamente tutti i tessuti perdono collagene e si indeboliscono.
- Menopausa: gli estrogeni contribuiscono a mantenere la tonicità delle strutture muscolari pelviche, la robustezza dei mezzi di fissità e la trofia dei genitali; con la menopausa si registra una brusca caduta del tasso estrogenico con atrofia progressiva delle suddette strutture.
- Predisposizione genetica
- Isterectomia (asportazione dell’utero): l’utero è un organo che contribuisce a mantenere la vescica nella sua sede, la sua asportazione potrebbe favorire un prolasso.
Tra i fattori scatenanti:
- Sforzi fisici eccessivi e prolungati possono sovraccaricare le strutture di supporto pelvico
- Obesità
- Patologie polmonari (enfisema, BPCO): la tosse cronica tipica delle malattie polmonari croniche determina un aumento della pressione addominale, favorendo il prolasso degli organi pelvici
- Stipsi cronica: associata a sforzi evacuativi notevoli, può essere responsabile dell’aumento eccessivo della pressione addominale
- Lavori che prevedono di rimanere per molte ore in piedi possono gravare eccessivamente sulle strutture pelviche
Tipologie di cistocele
Il cistocele può presentarsi in forme più o meno gravi. Gli stadi possibili sono tre. In ordine crescente di gravità, essi sono:
- Cistocele di 1° grado, o lieve: solo una piccola porzione della vescica invade la vagina
- Cistocele di 2° grado, o moderato: la vescica raggiunge l’apertura della vagina
- Cistocele di 3° grado, o grave: la vescica fuoriesce dalla vagina
Quali sono i sintomi?
Il cistocele di 1° grado è spesso asintomatico. I primi sintomi si avvertono quando il cistocele è almeno di 2° grado, non si tratta di disturbi pericolosi, ma condizionano la qualità della vita del paziente. I sintomi sono:
- Sensazione di corpo estraneo in vagina: è il primo sintomo percepito. Questa sensazione può essere percepita come un senso di pressione in sede pelvica, o come una palla che spinge in vagina, prevalentemente in seguito a colpi di tosse, sforzi, defecazione o qualsiasi manovra che favorisca l’aumento della pressione addominale
- Protrusione di parte delle vescica all’esterno: è percepita come una massa soffice e talvolta sanguinante
- Infezioni ricorrenti delle vie urinarie
- Residuo vescicale: sensazione di vescica non completamente vuota dopo la minzione
- Dispareunia: dolore durante i rapporti sessuali
- Incontinenza urinaria da sforzo
- Dolore quando si fanno sforzi che aumentano la pressione addominale
Prognosi
Il prolasso vescicale è una patologia cronica generalmente progressiva. Spesso il prolasso vescicale può associarsi anche al prolasso uterino o rettale, i quali possono essere a loro volta associati ad altri sintomi più marcati pertanto è molto importante rivolgersi al medico quando compaiono uno o più di questi sintomi.
Come si fa diagnosi di cistocele?
Nei casi di prolasso in stadio avanzato la diagnosi può essere molto semplice, basandosi solo sull’anamnesi ed esame obiettivo durante visita medica; nei casi più lievi, con sintomi meno manifesti o in previsione di un intervento chirurgico, invece può essere necessario eseguire più esami. Mediante l’anamnesi e l’esame obiettivo il medico specialista raccoglie informazioni utili sulla sintomatologia, fattori di rischio, storia clinica familiare ed effettua un esame pelvico mediante il quale è possibile osservare la presenza di parti della vescica che fuoriescono o si affacciano dalla vagina. È molto importante l’ispezione e la palpazione pelvica:
- in posizione supina ed eretta (poiché con la posizione distesa prolassi minimi possono essere misconosciuti).
- prima e dopo l’esecuzione di sforzi, per esempio un colpo di tosse (poiché prolassi minimi possono mettersi in evidenza dopo aumento della pressione addominale).
Per approfondimenti diagnostici o in previsione di un intervento chirurgico è possibile effettuare ulteriori esami:
- Esame delle urine
- Cistouretrografia: è un esame radiologico che prevede l’introduzione di un catetere in vescica per iniettarvi all’interno un mezzo di contrasto. Successivamente la paziente verrà invitata ad urinare, in modo da osservare, con i raggi X, come viene eliminato il mezzo di contrasto, al fine di individuare residui di urina nella vescica, la forma della vescica, alterazioni della dinamica emuntoria legati al prolasso.
- Cistomanometria: viene richiesta raramente con l’obiettivo di studiare il flusso urinario e le pressioni sviluppate all’interno della vescica durante la minzione, per individuare eventuali anomalie correlate al prolasso.
- Cistoscopia: viene eseguito di rado per questa patologia. Prevede l’introduzione di uno strumento (cistoscopio), attraverso l’uretra, per osservare in maniera diretta la parete della vescica.
- Elettromiografia pelvica: viene eseguita raramente, per misurare l’attività contrattile dei muscoli pelvici.
Come si cura il cistocele?
Il trattamento del prolasso varia in base alla gravità. Negli stadi iniziali, quando la sintomatologia è modesta, è possibile che non venga indicato alcun trattamento, se non misure preventive volte a ridurre e/o eliminare i fattori di rischio per evitare o rallentarne la progressione. Negli stadi più avanzati, con sintomi più consistenti, la terapia può essere: conservativa o chirurgica in associazione alle misure preventive indicate precedentemente. La terapia conservativa comprende:
- Riabilitazione del pavimento pelvico: a tal fine è possibile eseguire: esercizi di Kegel che prevedono la contrazione ed il rilasciamento ripetuti dei muscoli del pavimento pelvico; se eseguiti quotidianamente, anche più volte al giorno, migliorano notevolmente il trofismo della muscolatura pelvica e sono molto efficaci anche nel controllare l’incontinenza urinaria eventualmente associata.
- Biofeedback: si connette un sensore ai muscoli pelvici, che misura la loro attività, in modo che quando si eseguono gli esercizi pelvici, il medico può capire se i muscoli che devono essere rinforzati beneficiano di quel particolare esercizio.
- Stimolazione elettrica funzionale: è utilizzata di rado, prevede l’uso di elettrodi stimolatori dei muscoli pelvici.
- Pessario vaginale: prevede l’uso di presidi, in genere a forma di anello di gomma, che vengono introdotti in vagina permettendo il sostegno della vescica ed li ripristino della statica pelvica. È necessaria una corretta igiene intima e del pessario, il quale dovrà essere rimosso giornalmente e opportunamente lavato. L’utilizzo a lungo termine può essere associato a complicanze quali il sanguinamento vaginale, dolore, infezione e stipsi.
- Estrogeni: migliorano il trofismo dei genitali esterni e delle strutture pelviche di supporto. Si preferisce utilizzare estrogeni in forma topica (pomate), da applicare a livello vaginale con buoni risultati a livello locale e scarsi effetti collaterali.
La terapia chirurgica in genere viene indicata: nelle giovani donne con buone condizioni dello stato generale, con una lunga aspettativa di vita e con un prolasso molto sintomatico (in genere negli stadi superiori al secondo). La chirurgia ha l’obiettivo di ristabilire la normale anatomia pelvica. L’intervento può essere eseguito per via: vaginale ed è la via elettiva oppure per via addominale laparotomica (con incisione chirurgica ampia) o laparoscopica (con incisione chirurgica minima), utilizzata più raramente, per le situazioni con anatomia particolarmente complessa. L’intervento può prevedere anche l’inserzione di materiale protesico (in polipropilene), che ancori la cupola della vagina, in modo da offrire un supporto meccanico solido alla vescica, evitando recidive. L’intervento solitamente vien eseguito in anestesia locale e può essere sufficiente una degenza post-operatoria di poche ore. Nell’arco di 6 settimane, la paziente solitamente recupera tutte le funzioni e può svolgere una vita normale.
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