La cardiomiopatia dilatativa è una malattia del muscolo cardiaco (il miocardio), caratterizzata dalla presenza di dilatazione e alterazione funzionale che colpisce prevalentemente il ventricolo sinistro. Si tratta di un ingrossamento del ventricolo, che si associa a una ridotta capacità di pompare il sangue in periferia. La cardiomiopatia dilatativa può interessare soggetti di tutte le età, anche se colpisce prevalentemente i maschi adulti.

Quali sono le cause?

La cardiomiopatia dilatativa si distingue in primitiva e secondaria. La forma primitiva o idiopatica (senza causa apparente) si distingue in familiare (basata su mutazioni genetiche di più di 20 geni che codificano per proteine strutturali della cellula cardiaca) e non familiare (cardiomiopatia dilatativa post infiammatoria o infiammatoria che rappresenta di solito l’evoluzione di una miocardite acuta). Le forme secondarie di cardiomiopatia dilatativa invece, sono dovute a: agenti infettivi, azione tossica di farmaci (antiblastici), sostanze d’abuso (abuso cronico di alcool e cocaina), malattie sistemiche (connettiviti), tachiaritmie sopraventricolari e ventricolari sostenute. Esiste infine la cardiomiopatia dilatativa peripartum che si sviluppa durante l’ultimo mese di gravidanza o nei successivi cinque mesi dopo il parto.

Quali sono i sintomi?

Numerosi pazienti sono asintomatici. Quando compaiono, i sintomi sono quelli dello scompenso cardiaco sinistro: astenia (debolezza), dispnea (difficoltà respiratoria), edemi declivi (gambe gonfie), palpitazioni (percezione del battito cardiaco accelerato), tosse secca persistente (in particolare da sdraiati), capogiri e svenimenti.

Come si fa diagnosi?

La diagnosi di cardiomiopatia dilatava richiede visita medica in cui il medico effettuerà:

  • Anamnesi accurata: al fine di valutare i sintomi e identificare le cause eventuali o i fattori scatenanti
  • Esame obiettivo: il medico visiterà il paziente soprattutto dal punto di vista cardiologico, auscultando il cuore, valutando la presenza di gonfiore alle gambe e alle caviglie
  • Analisi del sangue: è possibile dosare il BNP (brain natriuretic peptide), che è elevato in presenza di scompenso cardiaco; possono essere presenti alterazioni degli indici di funzione epatica e renale, squilibri idro-elettrolitici e si possono dosare farmaci e droghe eventualmente presenti nel sangue.
  • Elettrocardiogramma (ECG):  registra l’attività elettrica del cuore e può mostrare segni di sovraccarico e sofferenza del cuore e eventuali aritmie sottostanti la patologia
  • Ecocardiogramma: è fondamentale nel dimostrare la dilatazione e l’anomalie di funzione contrattile dei ventricoli, in particolare del ventricolo sinistro. È l’esame “gold standard” per la diagnosi di cardiomiopatia dilatativa, non è un esame invasivo, è di facile esecuzione mediante l’uso di una sonda ad ultrasuoni posta generalmente sul torace del paziente; permette di valutare le dimensioni e lo spessore delle pareti delle camere cardiache, la funzione contrattile (misurata con un parametro chiamato “frazione di eiezione”) e il funzionamento delle valvole, e di stimare la pressione polmonare.
  • Radiografia del torace: è un esame di completamento diagnostico che fornisce due importanti informazioni: le dimensioni del cuore e la presenza e il grado della congestione polmonare. Richiede l’emissione di raggi X sul torace del paziente.
  • Risonanza magnetica cardiaca (RM): ha un ruolo fondamentale al fine di definire la causa della cardiomiopatia dilatativa. È più accurata nella valutazione dei volumi e della funzione ventricolare, per individuare aree di fibrosi dopo somministrazione di mezzo di contrasto che permettono di diagnosticare forme secondarie ad infarto del miocardio o miocardite.
  • Coronarografia: è utile ai fini della diagnosi eziologica di cardiomiopatia; permette di escludere le cardiomiopatie dilatative post-ischemiche mediante la visualizzazione delle coronarie attraverso l’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco al loro interno. L’esame viene effettuato in un’apposita sala radiologica, l’iniezione del mezzo di contrasto nelle coronarie, presuppone il cateterismo selettivo di un’arteria e l’avanzamento di un catetere fino all’origine dei vasi esplorati.
  • Biopsia miocardica: rappresenta un esame cruciale per individuare le forme infiammatorie e secondarie che hanno un quadro istologico preciso e un trattamento e prognosi differenti. Si preleva tessuto cardiaco mediante l’utilizzo di uno strumento chiamato “biotomo”. In genere le biopsie vengono effettuate sul lato destro del setto interventricolare.
  • Indagini genetiche: in caso di cardiomiopatie dilatative familiari è possibile effettuare la ricerca delle mutazioni genetiche associate allo sviluppo di questa patologia.

Come si cura?

Dove è presente una causa reversibile, l’unico trattamento è la gestione della causa responsabile di cardiomiopatia dilatativa. Indipendentemente dalla causa, va instaurata la terapia per l’insufficienza cardiaca (se presente), per migliorare i sintomi e aumentare la sopravvivenza. La terapia per l’insufficienza cardiaca comprende:

  • Trattamento farmacologico: beta-bloccanti, ACE-inibitori, diuretici, antiaritmici.
  • Impianto di un defibrillatore: nei pazienti con sincope o tachiaritmie ventricolari sostenute e/o sintomatiche. È indicato l’impianto di defibrillatore anche in caso di frazione di eiezione minore del 35%. Attualmente è possibile l’utilizzo del defibrillatore esterno (anche detto “a zainetto”) durante il periodo della terapia farmacologica, in attesa dell’eventuale reversibilità della patologica di base.
  • Impianto di pacemaker o defibrillatore biventricolare nei pazienti con attività elettrica cardiaca fortemente depressa.

Nei casi più gravi, refrattari ai trattamenti sopra indicati, può essere indicato l’impianto di dispositivi di assistenza ventricolare sinistra (LVAD) e/o il trapianto di cuore.

Qual è la prognosi?

Il decorso clinico è caratterizzato da un progressivo deterioramento della funzionalità cardiaca e spesso i pazienti vengono candidati al trapianto di cuore. Le forme secondarie sono potenzialmente reversibili, almeno nelle fasi iniziali di danno miocardico.

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